È una calda estate in una cittadina svedese. Tre sorelle si stanno godendo le spensierate, distese e spesso indolenti giornate estive tra il ciondolare vagando senza meta, il tuffarsi in piscina e rincorrersi nella natura senza riprendere fiato. Un vivere normalmente la bella stagione, con adrenalinici rimedi, senza gli obblighi che la quotidianità impone anche all'adolescenza.

Tutto ordinario, eccetto un non trascurabile particolare: la totale assenza della madre o di qualsivoglia figura genitoriale. Sole, abbandonate a loro stesse e al dover prendere decisioni, dalle più insignificanti a quelle che meriterebbero più oculatezza, sprovviste della maturità che l'età adulta dovrebbe insegnare. Vuoto che pare non preoccuparle, anzi, sembra che tale mancanza non rappresenti alcun problema o impedimento a gustarsi la libertà concessa ed insieme imposta.

A rompere l'idillio, la telefonata dei servizi sociali che reclamano di farle visita per accertarsi che tutto vada per il meglio. Sarà compito di Laura, la più grande, affrontare la situazione mantenendo il segreto per non caricare di ulteriori preoccupazioni la dodicenne Mira e la piccola Steffi e soprattutto scongiurare una disgregazione che rappresenterebbe l'atroce epilogo dell'inscindibile legame fortificatosi tra loro. Nel ricorrere a disperati tentativi, la maggiore conoscerà Hannah, borghese e alquanto enigmatica, la quale impersonerà una possibile via di uscita.

Primo lungometraggio di Mika Gustafson, già autrice di lavori con focus al femminile, migliore regia nella sezione Orizzonti alla Mostra di Venezia 2023, Paradise is Burning è un sanguigno elogio alle sfaccettature compositive dell’essere donna, sorella e disobbediente giovane ragazza. Unicum poliedrico, tre parti di un tutto costituito dalle peculiarità vivide, grezze, inconsapevoli di ognuna di esse, ciascuna rispondente ad un’identità in formazione. Rapporto profondo, senza sovrastrutture e non manchevole delle classiche incomprensioni, gelosie e liti che divengono conseguenze del dover crescere per forza, ma sempre congiuntamente. Perché o insieme o nulla.

Laura assurgerà suo malgrado a riferimento materno assumendone il ruolo senza averne contezza e, come normale che sia, scivolando in alcune inesperte iniziative, sovraccaricata dal fardello della responsabilità. Solo gli incontri con Hannah la faranno respirare e sperimentare (letteralmente) la vita degli altri tralasciando per qualche ora la propria realtà. Un’alternanza di situazioni, convivenza di momenti al limite dell’ossimoro si incastrano riuscendo a far compenetrare crudezza ed affetto con l’obiettivo di dare risalto all’interdipendenza fraterna e alla superiorità morale delle fanciulle, esplicitando l'inettitudine dei pochi adulti presenti e noncuranti del grave contesto e della loro patologica inadeguatezza.

Qualsiasi inquadratura o dettaglio concorre a potenziare l’istintualità e l’acerba giovinezza facendo sprofondare la macchina da presa nelle pieghe più profonde del loro essere. Ottimo l'impatto formale e simbolico, eppure c’è qualcosa che manca e lascia, come ad inizio film, inconsciamente anelanti.