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C’è uno spazio delimitato ma vuoto al centro di Papi chulo, una terrazza da ristrutturare ma che il protagonista non è in grado di fare da solo. È una delicata metafora con la quale John Butler (all’opera seconda dopo lo scatenato The Stag) realizza una commedia di caratteri vecchio stile nella struttura ma moderna nella sensibilità.
I protagonisti sono due personaggi a loro modo solitari: Sean è un presentatore del meteo da poco single e che non riesce ad andare avanti dopo l’abbandono da parte del suo compagno; Ernesto è un operaio messicano che a Los Angeles cerca di sbarcare il lunario con lavoretti occasionali. Il loro incontro – dovuto al terrazzo da ridipingere – cambierà le loro solitudini. Butler (anche sceneggiatore) si pone all’estremo opposto del suo film precedente, gioca sull’economia di personaggi e situazioni, sembra voler quasi rarefare la commedia per far emergere al meglio le personalità e i loro tratti.
Il film infatti più che raccontare cosa accade ai due li fa raccontare, mette due mondi opposti – quello benestante e raffinato di Sean e quello gretto e vagamente omofobo di Ernesto – a confronto e lascia che si conoscano e si scontrano dando ai personaggi il modo di esprimersi con le parole, i gesti, la mimica: bravissimi in questo senso i due protagonisti, Matt Bomer e la rivelazione Alejandro Patino, a incarnare mondi interiori racchiusi nei limiti spaziali e narrativi del racconto.
Un film piccolo, forse piccolissimo a cui Butler non sa dare sempre la spinta in grado di superare qualche cliché e semplificazione, ma anche un’opera abile a giocare di rimessa e a curare in modo efficace i pochi elementi a sua disposizione. In America li chiamano “feel good movies”, film che fanno stare bene: definizione appropriata.