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Paolo Conte - Credits: Daniele Zedda
“Asti è una città in cui non si comunica tanto” dice Paolo Conte, che della città piemontese è tra i figli più illustri. “Non ha avuto poeti” aggiunge, ma il sottotesto è evidente: sono io, il poeta di Asti.
E dagli torto, a quello che i colleghi ritengono il più grande cantautore italiano, celebrato – è il caso da dirlo – da Paolo Conte - Via con me, tributo tessuto dall’esperto Giorgio Verdelli mettendo insieme un’intervista al divo Paolo, le testimonianze di amici e ammiratori illustri (parterre incredibile), le esibizioni di repertorio provenienti dall’archivio dell’artista.
Un documentario esaustivo e completo che si muove dichiaratamente nei pressi dell’omaggio, più sincero e sentito che agiografico o calcolato. Senza linearità cronologica, seguendo proprio come in una storia di Conte le traiettorie di un atlante emotivo prima che geografico, Verdelli ricostruisce e restituisce il profilo del personaggio con la complicità svagata del soggetto.
Paolo Conte - Credits: Daniele ZeddaEleganza innata che non scompare sotto le rughe di una vita vissuta all’ombra del Bar Mocambo tra cassiere e milonghe, con una laurea in Legge che gli ha garantito il soprannome imperituro di Avvocato (“difensore delle mie canzoni” puntualizza sotto i baffi), Conte emerge in tutto il suo splendore sornione, giocando col mistero emanato dalla sua figura che pare scontornata da un classico in bianco e nero.
Autore di inni nazionali (Azzurro che riecheggia dai balconi durante il lockdown, ma resta nella memoria per il commosso commento della madre: “è antica e moderna”), sex symbol alternativo (Pupi Avati e l’invidia per i belli, Jane Birkin ammaliata dalle parole dette in quel modo lì), aristocratico sin dal cognome, Conte consegna suggestioni più che rievocare aneddoti.
Ha ragione l’amico e devoto Roberto Benigni quando dice che la sua grandezza sta nel seguire la regola dell’“ars gratia artis”: le sue sono “canzoni per le canzoni”, pezzi di un’opera mondo da leggere attraverso il filtro del cinematografo, frammenti di provincia che diventano sequenze di film comprensibili a tutte le latitudini.
Pur procedendo secondo lo swing dettato dal cantautore, Verdelli sceglie un approccio tradizionale alla materia, preferendo che le storie di Conte affiorino dalle canzoni stesse anziché attraverso ricostruzioni come quelle viste, per esempio, in Caro Lucio ti scrivo…, dove i personaggi di Dalla si trasformavano in corpi. Un ritratto labirintico eppure limpido, una divertente, sincopata, leggiadra jam session tra disegni e rebus, per (ri)scoprire il mondo di uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento.