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Panico al villaggio
Non possiede la magia della Pixar né la poesia in stop motion di Tim Burton. Panico al villaggio del duo belga Patar/Aubier è invece esempio di animazione artigianale che punta sulla libera immaginazione per aggirare la penuria drammaturgica. Basata su una striscia televisiva di successo e Platinum Grand Prize all'ultimo Future, l'operazione è una Claymation stralunata dove personaggi di plastica, sostenuti dalla tipica pedana dei vecchi modellini per l'infanzia, danno prova d'imbranata inettitudine generando continue catastrofi. Qualcuno ha scomodato Tati e Keaton per via dello humour strampalato e anarchico del film. A noi sempre piuttosto un'innocua comicità tutta gag e confusione, travalicata dalla continua invenzione di mondi (i 3 protagonisti – Chaval, Co-Boy e Indien - vengono catapultati fino alle viscere della terra, in fondo all'oceano e ai poli) e dal retrogusto nostalgico di silhouette condannate a spostarsi saltellando lungo l'asse orizzontale dell'inquadratura. Oltre la loro frontalità nulla o quasi: divertimento estemporaneo, estetica povera, recitazione esagitata. Che non risparmiano la fatica dell'ora e passa di durata. A riprova che la buona televisione può sempre diventare cattivo cinema.