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Eva Gabor in Pal Adrienn
Spesso nei titoli dei film hollywoodiani vengono usati i singoli nomi di protagonisti eccentrici, bizzarri, atipici o malati. Vedi Adam, in questi giorni in sala. Ma nel caso di Pal Adrienn, regia della ungherese Agnes Kocsis, la contorsione di senso è quasi lynchiana. Perché nome e cognomi femminili in questione sono quelli di una ragazza che non c'è, che non si vede, addirittura morta. Già per questo bizzarro espediente siamo dalle parti di Laura Palmer, di quella metafisica della sospensione che si aggrappa solo a tracce tradizionali di schemi cinematografici prefissati ma ne devia strutturalmente il percorso. In Pal Adrienn la giovane ed obesa protagonista Piroska (davvero eccellente Eva Gabor) lavora come infermiera in un reparto geriatrico d'ospedale ed ha che fare quotidianamente con piaghe da decubito, pannoloni sporchi, lenzuola da cambiare, nonché infarti, rianimazioni e morti improvvise. C'è molto grigiore diffuso e basculante, semisoggettive mobili da lettiga dei cadaveri con piedi o crani ravvicinati, inquadratura preferita con Piroska di spalle o tre quarti davanti ad una ventina di monitor da elettrocardiogrammi e ad una fetta di torta masticata in fretta. Poi il “fran” alla Baricco: cade il quadro, si apre la gabbietta dei pensieri in (semi)libertà. Piroska ricovera una vecchina all'ultimo stadio di nome Pal Adrienn. Lo stesso nome di una sua compagna delle elementari, con cui le sembra di aver avuto un grande legame ma di cui ha perso le tracce da tempo. Inizia così una detection insistente ma senza troppe pretese, assolutamente priva di risultati, senza un'increspatura emozionale da parte di Piroska, come dei co-protagonisti. La ripetizione senza concitazione dell'atto compiuto dalla giovane donna è il sintagma di Pal Adrienn. Film dall'aria afflitta ma sotterraneamente tesissimo, disegnato egualmente tra dialoghi e movimenti di macchina, tali da non ricorrere mai al campo e controcampo, come ai primi piani. Fino a quel sommovimento impercettibile dell'incontro tra Piroska e il figlio della paziente Pal Adrienn moribonda. “Come fai a sopportare tutto questo?”, chiede lui. “Bisogna abituarsi”, risponde lei. Ricordandoci che nessuno, in due ore e quindici di film, di fronte ad un ingozzarsi continuo di cioccolata, croccanti cereali, panini, torte, fa apprezzamenti sull'evidente grassezza della ragazza. Un alone di misteriosità che risiede più nello sguardo di chi riprende, piuttosto di chi sta in campo, inquadrato fronte macchina.