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Oxford Murders
Il crimine perfetto. Per il regista più caotico, eccessivo e istintivo di Spagna è una recente ossessione. Álex de la Iglesia, prima di approdare negli USA, ci aveva fatto sganasciare con l'esilarante storia di Crimen Ferpecto, in cui la divina (e bruttina) Monica Cervera era vittima carnefice. Ora il regista del furbetto e piacevole La comunidad e del geniale e fracassone El dia de la bestia ha fatto il colpaccio. Una major gli ha dato divi e soldi per quello che poteva essere il suo capolavoro: un noir d'atmosfera e vintage con risvolti sensuali e grotteschi. Dalla Spagna si porta Leonor Watling - rispetto a Salvador ingrassata ma sempre irresistibile - e le affibbia una parte infame, inutile e irritante, sottoponendola anche a trovate da commediasexi italiana anni '70. Oxford Murders è la trasposizione del best-seller omonimo del matematico argentino Guillermo Martinez, un codice Da Vinci di numeri, simboli e assassini seriali. A risolvere gli enigmi Elijah Wood e John Hurt, uno studente e un professore uniti dalla presunzione, dalla logorrea (il primo ha anche il tocco magico: appena guarda una donna lei si innamora) e dalla fede nelle serie numeriche. Colpi di scena sotto lo zero, il film è sciatto e stanco. A de la Iglesia sembra mancare ciò che ha sempre avuto in abbondanza: entusiasmo, originalità e fantasia. Gli è rimasto solo il cattivo gusto, ma senza la solita ironia irriverente.