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Il re del noir in salsa yakuza ha abbandonato lo scettro da tempo. Il cinema di Takeshi Kitano ha perso la sua vena poetica, quella tenerezza che ha cercato disperatamente di recuperare in Achille e la tartaruga, il travaglio di un pittore senza talento. Solo lo spadaccino cieco di Zatoichi gli aveva restituito gli anni migliori, con una regia minimale, che alternava la staticità a bruschi movimenti di macchina. Sonatine e Hana-bi – Fiori di fuoco, sono un ricordo lontano, e rappresentano ancora oggi un’altissima riflessione sull’uomo e la natura, sulla disperata voglia di vivere e la ricerca di una morte onorevole. La violenza improvvisa sublimava nella tragedia, nella critica, spesso ironica, di una società giapponese che si è dimenticata i suoi ideali. La cultura determina un popolo, per non continuare a cadere nelle stesse incomprensioni.
La trilogia degli Outrage ha riportato Kitano alla criminalità organizzata, agli scontri con i poliziotti, ai gangster spietati che ucciderebbero anche una colomba. Kitano non dimentica le origini della sua filmografia, ma non riesce più a stupire con le sue scelte di linguaggio. Costruisce le storie sugli scontri fisici e la trama rimane sullo sfondo, spesso troppo intricata per essere compresa nella sua interezza.
Outrage Coda, l’ultimo della serie, è un film ambizioso, che vorrebbe abbracciare il mondo della Yakuza in tutte le sue realtà, dal sicario che lavora in strada al “presidente” che gestisce l’organizzazione. La sceneggiatura fatica a svilupparsi, e perdersi nei meandri di questo labirinto di intrighi è fin troppo facile. I personaggi spariscono, tornano più di trenta minuti dopo, e magari introducono alla platea qualcuno che sul grande schermo non si era ancora visto. I colpi di scena sono forzati, con un doppio e triplo gioco che avrebbe fatto impazzire anche una spia. Si strizza l’occhio anche a Agente 007 – Si vive solo due volte.
Questa è l’ultima avventura del gangster Otomo che, dopo aver scatenato una guerra tra clan (Outrage) e aver sfidato anche la polizia (Outrage Beyond), adesso lavora per il signor Chang in Corea del Sud. Gestisce un giro di prostituzione, e quando un suo uomo viene ucciso, la voglia di vendicarsi prevale. Otomo torna in Giappone per regolare i conti. Intanto i boss cercano di eliminarsi a vicenda, i vicecapi complottano per ottenere più potere e la polizia scivola tra onestà e corruzione.
Otomo rischia di essere solo la cornice di un quadro ben più ampio, dove Kitano ricicla se stesso, senza trovare nuove idee. Le sparatorie si alternano alle congiure di palazzo, e quando anche la polizia entra in scena neppure il regista riesce più a gestire i suoi protagonisti. Il sangue non è più una liberazione, ma un artificio estetizzante in un Outrage Coda che non smette mai di zoppicare.
Il suicidio finale di Nishi con la moglie sulla spiaggia di Hana-bi – Fiori di fuoco rimane, a oggi, il momento più toccante del suo cinema. I due non si parlavano, bastavano piccoli gesti per condividere il loro amore e lanciare un grido di speranza al mare, all’infinito. Quella distesa infinita d’acqua li richiamava a una dimensione ultraterrena, dove killer e malati avrebbero ritrovato la loro serenità perduta.