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Oranges and Sunshine
La storia di Margaret Humphreys, assistente sociale a Nottingham, e la Storia che portò alla luce: la deportazione di oltre 30mila bambini dal Regno Unito in Australia, “I bambini perduti dell'Impero”, tra il 1930 e il 1970.
E' Oranges and Sunshine (arance e sole promesse a questi orfani, indigenti o concepiti fuori dal matrimonio per farli approdare nel paese dei canguri e altrove), che segna l'esordio alla finzione di Jim Loach, 41 figlio di Ken il Rosso e già regista di serial televisivi. In concorso alla quinta edizione del festival di Roma, il film è costruito su Emily Watson, nei panni di Margaret, cartina tornasole di questo scandalo e, progressivamente, spugna: l'elastico tra Inghilterra e Australia, i racconti drammatici degli ex bambini abusati e umiliati in istituti religiosi e non, la ricerca dei loro genitori back in the UK, la propria famiglia trascurata a fine di bene, la conducono sull'orlo di un esaurimento nervoso, non prima di aver stretto rapporti profondi quanto difficili con due di questi bambini invecchiati senza identità, Jack (Hugo Weaving), vittima come vittima dev'essere, e Len (David Wenham), vitale anti-vittima e un filo manipolatorio.
Questa la sinossi, viceversa, Oranges and Sunshines è sintetizzabile criticamente quale “film di Jim Loach, con i contenuti del padre e lo stile del nonno”. Se la storia ha tutti gli elementi già cari a papà, viceversa, la forma non ha nulla dello stile sporco e “arrabbiato” cui ci ha reso avvezzi il regista di Riff Raff e Terra e libertà, che pure non è un virtuoso: sebbene palestrato dalle valenti serie inglesi, Jim si riduce a puro illustratore di contenuti, siglando un film che ha tutta la chiarezza, ma non l'incisività e la nettezza, di un telegramma.
Indi, pollice alzato per la storia e verso per il racconto, cui non giova nemmeno una drammaturgia tutta giocata sull'iterazione e, dunque, aperta alla noia: se la Watson lotta soffrendo e fa brillare gli occhi di passione civile, comunque non incanta, al contrario di Wenham, ferito ma mai domo, eppure nemmeno loro riescono a mettersi in corsia di sorpasso. Si adagiano sui binari di un onesto film di denuncia, che storicamente fila dritto ma deraglia sullo schermo. Almeno, se si parla di cinema.