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Opus @IWonderPictures
Il cinema ama spesso i luoghi chiusi, circoscritti. È più facile descrivere un microcosmo, disegnare un piccolo universo in cui la realtà che conosciamo si può specchiare. È il caso delle scuole, da La classe a La sala professori. Ma anche, e specialmente, di posti lontani, esotici, da scoprire. Con naturalmente venature da incubo. Per citare solo alcuni titoli, negli ultimi tempi abbiamo visto Glass Onion: Knives Out (un’isola greca, un miliardario, un crimine da risolvere), The Menu (un ristorante su un’isola, un’esperienza culinaria che si trasforma in una mattanza) e Blink Twice (una vacanza su un’isola, un misterioso proprietario, la morte dietro l’angolo). Lo schema è chiaro. Portare gli ignari protagonisti in una località da sogno (spesso un atollo), illuderli di essere in paradiso e poi scatenare l’inferno.
Al centro c’è quasi sempre un guru, un luminare, un essere magnetico che diventa il deux ex machina, il vero nemico da sconfiggere. E che alla fine si sacrifica per seguire il suo folle ideale. È il caso di Opus – Venera la tua stella di Mark Anthony Green. Una star della musica degli anni Novanta annuncia un nuovo album, dopo decenni di silenzio. È uno dei personaggi più influenti sul pianeta. Per ascoltare in anteprima il suo nuovo disco, invita un numero selezionato di giornalisti e influencer. Sono tutti conosciuti, tranne la rookie Ariel Ecton, che ha solo ventisette anni. Dovranno trascorrere alcuni giorni in un ranch extralusso, lontani dalla civiltà. Qui scoprono che la star è al centro di un culto misterioso, e che dietro ai lustrini si nascondono fiumi di sangue.
La linea narrativa è ovvia. Green fatica a trovare una propria voce. Si appoggia al talento di John Malkovich, e nella prima parte il gioco sembra anche funzionare. L’idea di descrivere le dinamiche di una setta si rivela attuale, si ammicca al folk horror. Ma il film non prende la direzione di Midsommar. A un certo punto la linfa si esaurisce e si percorrono binari canonici ormai usurati. Lo sfondo musicale poteva essere un punto di forza, invece risulta posticcio. Regala solo una scena cult / scult in cui Malkovich canta e balla, come un novello David Bowie sotto acidi (con un richiamo ai costumi di Elton John).
Opus – Venera la tua stella non riesce neppure a immergersi nella dinamica religiosa (come aveva fatto Heretic), ma lascia anche sullo sfondo la condanna al mondo delle apparenze e dello show pacchiano. Un’occasione persa, in cui l’unico a salvarsi è il fascino eterno del protagonista, qui divo capriccioso, venerato maestro e capopopolo di un’apocalisse imminente.