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Il titolo scelto dalla distribuzione italiana è esplicito, Open Arms (con sottotitolo La legge del mare), ma quello originale Mediterráneo, ha una potenza evocativa che rende il film di Marcel Barrena (in selezione ufficiale alla XVI Festa del Cinema di Roma) una storia sì particolare nonché universale, individuando nell’esperienza singola l’opportunità di tracciare una storia collettiva.
Che riguarda, certo, le organizzazioni umanitarie non governative che salvano vite, ma interroga noi che restiamo sulla terraferma e abitiamo questo tempo assuefatti da notizie che si rincorrono simili nella loro tragicità, dalle immagini dei naufragi e dei morti arrivati alla deriva.
Ed è la foto del corpo di un bambino annegato trascinato su una spiaggia sconvolge due bagnini, Òscar e Gerard. Open Arms – La legge del mare inizia proprio mettendo a confronto le due facce del mare: quella dei bagnanti spensierati per cui il mare è un’evasione, uno svago, un piacere; e quella di chi vede nel mare l’unica via per costruire anzi immaginare una nuova possibilità di vita, anche a costo di perderla.
Geograficamente il Mediterraneo è un mare chiuso, ma la sponda catalana di Òscar e Gerard non è uguale a quella di Lesbo, dove i due, mossi da quell’immagine così impressionante, si dirigono scoprendo che ogni giorno migliaia di persone rischiano la vita fuggendo dai conflitti armati senza che nessuno svolga operazioni di soccorso. Insieme a Esther e Nico creeranno una squadra di soccorso con la quale cercheranno di affrontare la situazione. Una lotta fondata sul principio della solidarietà, per compiere il lavoro disatteso dalle autorità e portare a migliaia di persone l’aiuto di cui hanno estremo bisogno.
Racconto popolare e cronaca di una nuova consapevolezza etica, Open Arms ricostruisce la buona battaglia unendo la dimensione didattica alla tensione sentimentale quanto basta per suggestionare anche i più ostili alla causa, calibrando l’impatto emotivo all’altezza dell’impegno umanitario dunque politico incarnato in particolare da Òscar Camps.
Lo interpreta un accorato Eduard Fernández, che ne sa esaltare il dato umano lavorando di sponda con il regista che, da par suo, ne tratteggia la statura eroica del common man in opposizione a coloro – specialmente nei tutori di un ordine spesso spietato – che non sanno accordare l’intelligenza del cuore all’atto della difesa pubblica. Un film morale, civile, dalla parte giusta.