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One Night in Miami
Tornano i primi anni Sessanta alla Mostra di Venezia. Ancora una volta si parla di Unione Sovietica e Stati Uniti. Da una parte il KGB, gli scioperi, l’oppressione, il bianco e nero di Andrej Končalovskij in Cari compagni!. Dall’altra un evento che ha segnato la storia americana in One Night in Miami. Due film, due modi lontanissimi di guardare il mondo.
È il 25 febbraio del 1964. Cassius Clay (non ancora Muhammad Ali) sconfigge Sonny Liston al Miami Beach Convention Center. Ha solo ventidue anni ed è il nuovo campione dei pesi massimi. Per festeggiare si reca nella stanza di un motel dove alloggia Malcolm X. Si uniscono a loro anche la leggenda del soul Sam Cooke e la stella del football Jim Brown, che poi sarebbe approdato anche al cinema con Robert Aldrich (Quella sporca dozzina), Antonio Margheriti, Spike Lee, Tim Burton, Oliver Stone…
One Night in Miami è all’apparenza un film molto semplice. La struttura è quella di Carnage di Polanski, con i quattro protagonisti che si incontrano/scontrano in uno spazio di pochi metri. L’argomento è la discriminazione, l’uguaglianza, il colore della pelle. Dietro la macchina da presa c’è Regina King, la prima donna afroamericana a presentare un film a Venezia. Si tratta del suo esordio per il cinema, ma in televisione da regista si era già fatta le ossa. Il razzismo ha cercato di raccontarlo anche nella sua carriera di attrice. Dagli inizi con John Singleton per Boyz n The Hood – Strade violente, all’Oscar per Se le strade potessero parlare di Barry Jenkins, fino al successo della miniserie Watchmen.
Il pregio di One Night in Miami è di non essere “urlato”. King modera i toni, gestisce l’impianto teatrale (il film è tratto da una pièce di Kem Powers) con misura. Non ha paura di confrontarsi con Ali di Michael Mann e Malcolm X di Spike Lee, e sviluppa interessanti riflessioni nell’epoca del Black Lives Matters. Non si limita ad attaccare i bianchi, ma è molto critica anche verso gli afro.
Malcolm X sembra aver perso la sua umanità, ha un piglio troppo violento. Sam Cooke è riuscito a diventare ricco piegando l’industria, ma non realizza testi impegnati per aiutare la sua gente. Il cambiamento, per King, deve essere un movimento unito, che parte dall’interno per poi propagarsi. E non bisogna neanche essere miopi o cinici.
È molto riuscito il momento in cui Malcolm X ci fa sentire un vinile di Bob Dylan, i primi versi di Blowin’ in The Wind: “Quante strade deve percorrere un uomo prima di poterlo considerare tale?”. Da qui poi Cooke realizzerà la sua A Change is Gonna Come. Il modello è un cantautore nato nel Minnesota dalla pelle chiara. Dylan, appunto. King trasmette quindi un sentimento di fratellanza, e con intelligenza apre nuove frontiere al dibattito sul grande schermo.