Walter Salles ci è ricascato. A cinque anni di distanza dal poco felice I diari della motocicletta - nel quale il viaggio di formazione umana e politica del giovane Ernesto Guevara veniva trasformato in un romanzetto rosa - il brasiliano porta in Concorso a Cannes la sua ultima fatica, On the Road, adattamento per lo schermo del celeberrimo romanzo firmato da Jack Kerouac, rispettivamente testo fondativo e figura di riferimento della cultura beat oltre che vicenda artistica tra le più considerate del secolo ventesimo.
Si scrive “fatica” perché alla fase finale della produzione del film, Salles ci è arrivato in due anni durante i quali molte tegole gli son cadute in testa e molti bastoni gli si sono incastrati tra le ruote, a cominciare da un faticoso casting pieno di colpi di scena e un budget instabile, più volte consistentemente ridotto nel corso della preparazione.
Nonostante tutto On the Road concorre ora alla Palma d'Oro e lo fa anche in grazia di un cast, sulla carta, ben assortito e non privo delle star necessarie a qualsiasi scalata al successo internazionale (basti citare tra gli altri Viggo Mortensen e Kirsten Dunst). Basta però una visione distratta dei primi minuti per capire che il gruppo degli interpreti - e l'uso che ne fa il regista - è tutto tranne che uno dei punti forti del film e che Salles incappa qui ancora una volta in un vecchio vizio del passato. L'errore che Salles seguita a commettere sta tutto nella sua apparente ossessione - perniciosa - per il cinema statunitense come modello da imitare, ossessione che annulla e sostituisce quella sana e necessaria per il cinema tout court. La forza e l'identità caratteristica del romanzo d'origine sono azzerate da un lavoro di adattamento che usa la letteratura come riserva di pezzi di racconto, di aneddoti, di ruoli, di personaggi. Così non solo il film resta impermeabile e indifferente allo stile letterario con il quale avrebbe dovuto mettersi a confronto, ma si spinge oltre, disarticolando l'immaginario del romanzo, smantellandone le immagini dall'interno.
Salles si concentra invece sulla ricostruzione di uno stile ridotto a luogo comune, a fatto di gusto: l'abuso di sigarette, di alcol, di droghe, il sesso praticato istintivamente, “liberamente”, la scrittura come momento esistenzialmente, oltre che artisticamente, rilevante - solo per citare una lista grossolana di alcuni motivi tipici - vengono assunti dal regista nel film alla stregua di tic irriflessi, di coloriti aneddoti, di elementi d'arredo. La narrazione inevitabilmente si riduce a messa in serie di scene e dei personaggi non restano che ombre in movimento perché Salles si concentra sulla confezione di un'illustrazione, sintetica, complessiva, omogenea, compiuta, tralasciando d'instillare nel film un principio dinamico-analitico fondamentale: l'istanza di uno sguardo.