PHOTO
Offside
La Giuria dell'ultima Berlinale ha deciso di ripresentare in concorso il suo Orso d'Argento del 2006: proiezione l'11 febbraio scorso, perché quel giorno di 32 anni fa in Iran iniziava la Rivoluzione Islamica. Il film è Offside, il regista Jafar Panahi, condannato dal regime di Ahmadinejad a 6 anni di carcere e 20 di divieto d'esercizio della professione e oggi agli arresti domiciliari. Già assistente e collaboratore di Kiarostami, Panahi è tra gli esponenti di spicco della nouvelle vague iraniana. L'esordio dietro la macchina da presa nel 1995, Il palloncino bianco, vince la Caméra d'Or a Cannes, cinque anni più tardi, la consacrazione internazionale: Il cerchio è Leone d'Oro, mentre nel 2003 Oro rosso è premio della giuria a Un Certain Regard.
Passano altri tre anni e Panahi si ritrova in fuorigioco: il titolo non è metaforicamente diegetico, ma illumina uno slittamento di poetica, che fa di questo suo quarto lungometraggio il più ilare, ironico e accessibile della sua filmografia.
8 giugno 2005, un autobus procede per le strade di Teheran: i giovani ed euforici passeggeri sono diretti allo stadio, dove la nazionale iraniana si gioca la terza partecipazione ai Mondiali di calcio contro il Bahrein. Solo un ragazzo è seduto in silenziosa circospezione: in realtà, è una ragazza, en travesti perché alle donne è proibito assistere alle partite in compagnia degli uomini e delle imprecazioni che dagli spalti piovono in campo. Gli altri passeggeri se ne accorgono, ma non si fanno eccessivi problemi: il dissidio, viceversa, è tra potere e cultura, tradizione e società, reazione e innovazione. E' qui che il regista punta la camera, dando seguito all'attenzione per il femminile, ricalcando la sua cifra poetica neo neorealista e scoprendo una inusitata calligrafia comica.
Ispirato da un'analoga esperienza della figlia, l'ironia apre alla tenerezza, lo humour persiano alza la bandierina gialla del monito civile. Se il futuro è qui e ora, perché - dice per immagini e suoni - irrigidirsi in categorie, reificare steccati e divieti palesemente fuori sincrono? Non un interrogativo politico, quello di Panahi, ma glocal ed esistenziale: per la successiva adesione alla Rivoluzione Verde, è stato privato della libertà artistica e personale, ma chi ha stabilito le regole di un gioco giocato nelle stanze e per le istanze del Potere? Meglio, davvero, finire in Offside. Ma ci vuole coraggio, molto coraggio: Panahi l'ha avuto, e Offside ne è splendido sintomo cinematografico. E toccante testimonianza umana.