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Annette Bening in Nyad. Cr.Liz Parkinson/Netflix ©2023
In tempi più smaliziati avremmo definito Nyad – Oltre l’oceano un “Oscar bait”. Il primo film di finzione diretto da Elizabeth Chai Vasarhelyi e Jimmy Chin, vincitori dell’Oscar per il documentario Free Sole, ha tutte le caratteristiche dell’“esca da Oscar”: l’uscita nel pieno della stagione dei premi, il macro-genere (il biopic), un’interpretazione notevole. Aggiungiamoci l’impegno di Netflix, che tra i player più recenti è quello che ha maggiormente mutuato le strategie di marketing degli Studios (anche se continua a mancare la statuetta più pesante).
E però Nyad sembra essere arrivato al momento sbagliato: non solo il colosso dello streaming sta puntando soprattutto su altri titoli per la corsa all’Oscar (Maestro, May December, Rustin), ma anche la statuetta sulla carta più accessibile – quella per la miglior attrice – rischia di limitarsi a un’ipotetica nomination (troppo affollata la gara: Lily Gladstone, Emma Stone, Carey Mulligan, Aunjanue Ellis-Taylor, Margot Robbie, Greta Lee, Sandra Hüller...).
E così il ritratto di Diana Nyad, leggendaria nuotatrice newyorkese (tra le sue imprese: ha nuotato intorno all’isola di Manhattan per 45 km nel 1975, da North Bimini nelle Bahamas fino a Juno Beach in Florida per 164 km nel 1979), sarà l’ennesima occasione mancata per celebrare il talento e il carisma di Annette Bening, che aspetta l’alloro dell’Academy da almeno trent’anni. A maggior ragione considerando la corrispondenza anagrafica tra Bening e Nyad: nel 2013, a 64 anni, al suo quinto tentativo, la nuotatrice si è avventurata per 177 km da Cuba alla Florida, diventando la prima persona a coprire a nuoto tale percorso senza ausilio di una gabbia per squali.
Il film si regge completamente sulla performance generosa e volitiva dell’attrice, che si è preparata per un anno (si vede) e non inganna mai il tempo scolpito sul suo corpo segnato tanto dagli esercizi quanto dagli acciacchi. E si esalta nel legame con Jodie Foster, che interpreta colei che è qualcosa più di un’allenatrice (“Siamo uscite una vita fa” spiega Nyad, per far capire quanto sia profondo il rapporto). Diciamolo, è raro vedere un film incardinato su un’amicizia matura – per consistenza e anagrafe – così radicata e viva, affettuosa e franca, limpida e dialettica, in cui la forza dell’una si regge sulla tempra dell’altra e l’obiettivo da individuale si fa comune.
È la parte più convincente di Nyad, perché completamente appaltata alla chimica e al talento delle due dive, e tutto sommato abbiamo voglia di vedere soprattutto i loro duetti, i titanismi di Bening e gli sguardi di Foster. Ma Vasarhelyi e Chin intendono il film come un’evoluzione del loro impegno nel documentario, non solo nella forma, con i filmati d’archivio che si inseriscono nella tessitura narrativa quasi depotenziando la fiction, ma anche perché vedono Diana come un’altra personalità larger than life che sfida le regole della natura dopo i tre scalatori (compreso Chin) che raggiungono la vetta in Meru, lo spericolato Alex Honnold di Free Solo, i soccorritori che hanno salvato i calciatori intrappolati in una grotta in The Rescue.
E se da un lato si trovano evidentemente a loro agio nella restituzione dei fatti tramite il repertorio, dall’altro i registi annaspano nella ricostruzione ex novo. Nyad dovrebbe rivelarsi sott’acqua, dando vita e voce a ciò che la protagonista sostiene di vedere mentre nuota, cioè vivide allucinazioni del Mago di Oz e della strada di mattoni gialli, simbolo della perdita dell’innocenza e del passaggio dall’infanzia all’adolescenza. È un assist offerto dalla stessa nuotatrice che però i Vasarhelyi e Chin sprecano in una confusa esplorazione del passato remoto di Diana, con sprazzi del suo rapporto con il padre mitizzato e invece piuttosto contraddittorio: un’occasione per Nyad che, nella “solitudine assistita” della traversata, può fare i conti con convinzioni e idealizzazioni, compresa quella di essere sola contro tutti.
E invece, da biopic edificante qual è, Nyad celebra quella che è una delle imprese individuali più controverse degli ultimi anni (la mancanza di regole, la scarsa documentazione e le discussione nell’equipaggio le hanno impedito la ratifica del record) come l’atto collettivo di un gruppo all’appuntamento con la storia.