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Nuovo Olimpo. Nome di cinema, e cinema di fatto – ma con una tremenda contraddizione, ovvero destinazione d’uso. Tutto il resto è amore: si può imputare a Ferzan Ozpetek la prepotenza di credere, ancora, a un film sull’amore, e forse persino d’amore. Peccato che al cinema l’abbiamo visto noi stampa e il pubblico della XVIII festa del Cinema di Roma, perché dal 1° novembre sarà disponibile solo su Netflix. Che è mero domicilio, non indirizzo programmatico: Nuovo Olimpo si collocherebbe per intenzione e manifestazione in sala.
Al contempo, ne dichiara la fine: d’essai, poi luci rosse (le due fasi del Nuovo Olimpo cinema), quindi fuoco fatuo, (l’approdo streaming del Nuovo Olimpo film) la transizione è ferale.
Ferzan prende dalla propria autobiografia, al solito, almeno per l’abbrivio e confeziona un romance che in quattro atti e altrettante epoche sdilinquisce nel mélo, assoggettandosi – letteralmente – alla Storia senza deflettere dall’idea: che l’amore r-esiste, e non si dimentica, e nemmeno abbisogna lo si viva in presenza. Insomma, omnia vincit amor, amanti compresi.
Succede a Enea, l’alter ego di Ozpetek strepitosamente incarnato da Damiano Gavino (Il professore, The Boat), e Pietro (Andrea Di Luigi), che sulla fine degli anni Settanta si incontrano a Roma: hanno 25 anni, e si innamorano e fanno l’amore e si amano. Una carica di polizia li separerà, senza perderli: si cercano, invero con più di qualche inverosimiglianza, e si ritroveranno, come e quando a voi scoprirlo.
Sui titoli di coda Mina canta Povero amore, e la nostalgia è canaglissima, prima è notevole Aurora Giovinazzo, amante e poi collaboratrice di Enea (ma quanto va di moda sullo schermo ‘sto nome?), e notevolissima Luisa Ranieri (davvero È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino è stato per lei uno spartiacque fondamentale), irriconoscibile e bravissima quale cassiera del Nuovo Olimpo, la mitologica Titti.
Meno bene Greta Scarano, ovvero la moglie di Pietro cui tocca la convenzionalità borghese, molto bene le musiche di Andrea Guerra, che Ferzan, complici le luci di Gian Filippo Corticelli e il montaggio di Pietro Morana, poggia su un tessuto visivo denso, vitalista, sanguigno – e platealmente irrorato dall’horror vacui.
Non tutto funziona, ci mancherebbe, ma il moto a luogo – il sempiterno cuore sacro – messo su carta, e mappa, con il fedele co-sceneggiatore e coproduttore Gianni Romoli è più forte delle esibite debolezze drammaturgiche, del camp più o meno volontario, dell’iterazione a rischio secca: s(p)esso e volentieri, lo seguiamo Nuovo Olimpo.
Nudi li mette, uomini e donne, parimenti, ossia full frontal, mentre sull’invecchiamento la disparità di genere dà nell’occhio: l’ex gentil sesso ha la peggio, assai. Per dire, l’Enea di Damiano Gavino subisce due rughette due e – l’autobiografia s’è evidentemente presa una pausa... - tre capelli tre bianchi, mentre Greta Scarano e Aurora Giovinazzo devono esibire le impronte per farsi riconoscere. Fa ridere, sì, e ridiamo.
Insieme, lodiamo la splendida inattualità di Nuovo Olimpo, la volontà di potenza sentimentale, il cuore gettato oltre qualsiasi ostacolo, e financo qualunque credibilità. Passano trent’anni, ma non passa l’amore: trapassato remoto, presente storico, futuro condizionato. Chissà quanto avrebbe fatto in sala...