La fascinazione per i vampiri ha radici lontane. La letteratura ha fatto da apripista nel XVIII secolo e cineasti di ogni continente hanno attinto a piene mani da quell’immaginario fin dai tempi del muto. Le origini sono tedesche con una poesia breve di Heinrich Ossenfelder, Il vampiro del 1748. La penna di Goethe nel 1797 compone La sposa di Corinto, la storia di una giovane che torna dalla tomba per cercare l'uomo che ama. I vampiri solcano la Manica nel 1819 con The Vampyre di John Polidori, che ci presenta per la prima volta un essere intelligente, affascinante, attraente, e soprattutto infernale. La popolarità arriva nel XIX secolo, quando Bram Stoker scrive Dracula. Siamo nel 1897.

La prima rappresentazione cinematografica di Dracula è nel film muto Nosferatu il vampiro di F.W. Murnau, del 1922. Il regista non ottenne il permesso di usare gli stessi nomi presenti nel romanzo di Stoker. Fu costretto a cambiarli insieme ad alcune parti della sceneggiatura. Non fu sufficiente, perse la causa contro gli eredi e dovette distruggere tutte le copie del film, tranne una.

Il mostro di Murnau aveva sembianze impressionanti: unghie lunghe, occhi infossati, ossa quasi visibili sotto la pelle del viso. L’ambientazione in esterna era un fatto straordinario ai tempi del muto. La notte, le navi, la natura, il buio, creavano un’atmosfera che impediva qualsiasi empatia. Il retroscena romanzato del film di Murnau è stato fatto nel 2000 da E. Elias Merhige, L'ombra del vampiro, con John Malkovich nei panni dello stesso Murnau e Willem Dafoe in quelli del protagonista, Max Schreck, che incarnava il Conte Orlok nel capolavoro del 1922. Sarà quindi un caso che Eggers oggi inserisca nel suo cast proprio Willelm Dafoe? La risposta è ovvia.

Ma non finisce qui. Hollywood incontra Dracula nel 1931 quando, con l’arrivo del sonoro, la Universal Pictures produce il primo film tratto dall’adattamento teatrale del libro di Bram Stoker. Il logo della Universal all’inizio del nuovo Nosferatu richiama proprio quello degli anni Trenta.

Di miti, di leggende, e soprattutto di incubi, il cinema non è mai stato sazio. Le radici dell’orrore affondano nell’illusione di potersi immergere nell’oscurità a distanza di sicurezza, senza mai affondarvi. La provocazione di Nosferatu di Robert Eggers è di abbandonare la nostra comfort zone per accogliere le tenebre. È quello che dice l’esperto dell’occulto interpretato da Dafoe: “Solo a quel punto potremo sconfiggerle”. Le ambizioni sono alte, il confronto è con uno dei classici per eccellenza della storia del grande schermo.

Il suo Nosferatu non omaggia solo Murnau, non è solo rispettoso con Herzog (Nosferatu, il principe della notte era il ritratto di una solitudine estrema), ma diventa anche l’altra faccia di Dracula di Bram Stoker. Nel capolavoro di Francis Ford Coppola il “non morto” seduceva la sua fiamma davanti a L’arrivo di un treno alla stazione dì La Ciotat. L’autore del romanzo non avrebbe mai potuto immaginare che il capostipite del gotico un giorno si sarebbe trasformato in un racconto anche struggente e romantico.

Invece Eggers dipinge una creatura incapace di provare sentimenti, ma che allo stesso tempo è visceralmente legata alla ragazza che lo ha risvegliato. Nosferatu è selvaggio, crepuscolare, violento, a tratti testamentario. Eggers spegne ogni tonalità, si avvicina anche al bianco e nero. Evita gli eccessi di The Northman, segue la scia della sua opera prima The VVitch. La cinefilia l’aveva già dimostrata con The Lighthouse, e qui risuona tempestosa. Ma confrontarsi con i giganti è una sfida improba, difficile da superare. Le trappole sono molte ed Eggers non riesce a evitarle tutte. Ma a vincere alla fine sono le atmosfere, le ombre, la sensazione opprimente che al male, e al suo fascino, non si possa sfuggire.