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Norwegian Wood
Tokyo, fine anni '60. Watanabe (Ken'ichi Matsuyama) e Naoko (Rinko Kikuchi), non ancora ventenni, si ritrovano dopo il tragico suicidio di Kizuki (Kengo Kora), amico fraterno del primo e fidanzato da una vita con la seconda. Tra i due scoppia un legame indissolubile, segnato ovviamente da quel drammatico avvenimento che li unisce. Ancora di più. Ma Naoko non è pronta ad affrontare il presente, e Watanabe si ritrova a fluttuare tra un amore totale, ma impenetrabile (in tutti i sensi...) e l'arrivo di una nuova ragazza, Midori (Kiko Mizuhara), più estroversa e smaliziata.
Ha ragione da vendere, Tran Anh Hung (Leone d'Oro nel '95 per Cyclo), quando dice che la cosa più importante da affrontare nella trasposizione di un romanzo sul grande schermo "non è tanto il raccontare una storia, ma riuscire a trasmettere quegli stessi sentimenti ed emozioni che la lettura ha suscitato": la sfida aumenta, però, inevitabilmente, se l'autore da cui tutto parte è il nipponico Haruki Murakami, incredibile demiurgo e inventore di mondi, scrittore tra i più importanti e originali della letteratura contemporanea, portato al cinema per la prima volta "sfruttando" il titolo più noto e fortunato della sua intera bibliografia (non il più bello), quel Norwegian Wood pubblicato nel 1987 e successivamente tradotto in ben 33 lingue. Agevolato dallo stesso Murakami, che ha contribuito alla sceneggiatura fornendo a Tran Anh Hung dialoghi originali non presenti nel romanzo, il regista de Il profumo della papaya verde sceglie la strada del racconto al presente (a differenza del libro, dove il protagonista ripensa ad avvenimenti accaduti molti anni prima) per insistere sul "dolore lancinante delle ferite ancora aperte" e abbandonarsi così ad un discorso che, attraverso un'evidente ricercatezza formale ed estetica, anche ben supportato dalla collaborazione con Jonny Greenwood alle musiche (chitarrista dei Radiohead, già autore della splendida colonna sonora de Il petroliere), finisce però per girare un po' troppo su se stesso (si pensi all'insistito pianosequenza utilizzato per seguire la camminata con triplice andata e ritorno di un'alba disperata), alle lunghe annoiando più di quanto riesca ad emozionare, perdendo per strada quell'irrimediabile mix di angoscia esistenziale e tagliente ironia che, da sempre, caratterizza il lavoro di Murakami. Forse ancora da (ri)leggere prima di poterne rendere, al meglio, le infinite possibilità sul grande schermo.