PHOTO
Dolores Fonzi e Valerio Mastandrea in Nonostante - Foto di Matteo Graia
Chi siamo quando la morte è lì, a un passo, ma la vita ancora non ci lascia andare realmente? Soprattutto, in che modo possiamo tornare liberi e sconfinare rispetto agli argini che noi stessi finiamo per costruirci intorno?
Sei anni dopo Ride - film che si interrogava sulla possibilità (o meno) di soddisfare le aspettative del mondo nell'elaborare un lutto - Valerio Mastandrea torna dietro la macchina da presa con Nonostante, opera seconda che stavolta interpreta anche da attore protagonista. E che dedica alla memoria del padre, morto dieci anni fa, nel 2014.
Un pizzico di Tati, la consueta affinità elettiva con il compianto amico-collega Mattia Torre e un movimento continuo che l'autore-attore-regista (soggetto e sceneggiatura sono firmati anche da Enrico Audenino) non perde tempo a svelare agli occhi del pubblico: l'uomo che vediamo aggirarsi nel cortile di quell'ospedale, che parla con altri ricoverati come lui (Lino Musella, Laura Morante e Justin Alexander Korovkin), ma che agli occhi di tutti gli altri è invisibile (eccetto rarissime eccezioni, vedi il personaggio interpretato da Giorgio Montanini...), in realtà è allettato in stato comatoso (come gli altri tre del resto) da chissà quanto e chissà perché.
Ecco dunque l'idea - bellissima - da cui parte la riflessione di Nonostante (chissà se la predilezione per le parole singole nei titoli proseguirà con “tutto”, Ride. Nonostante. Tutto...): dove andiamo, chi incontriamo, con chi parliamo, in che modo dunque esistiamo quando il nostro corpo si dissocia dallo stato di coscienza e rimaniamo sospesi in quel limbo incomprensibile?
Audace nella premessa (concepita prima del Covid, forse modificata strada facendo, anche in seguito al drammatico incidente occorso ad un caro amico di Mastandrea, uscito poi dal coma dopo qualche mese), coraggioso nella messa in atto, che conferma la volontà di voler evadere dalla comfort zone narrativa e produttiva del cinema “popolare” nostrano, il film - che apre la sezione Orizzonti di Venezia 81, da marzo 2025 sarà nelle sale con Bim - si fa commedia esistenziale sull'ignoto e ragiona sulla possibilità che anche lì, in quella terra di mezzo popolata da anime che prima o poi torneranno su (che cosa ne sarà di tutta quella vita trascorsa altrove?) o - ahimè - moriranno, possa giungere qualcuno a scardinare la routine di chi, proprio come il protagonista, ormai in quella condizione si sente al riparo da tutto o da tutti.
È il caso del personaggio interpretato dall’argentina Dolores Fonzi, donna irrequieta e per niente disposta ad accettare passivamente le regole di quel luogo: lui viene travolto da quel furore, prima cercando di difendersi e poi accogliendo qualcosa di incomprensibile. Può dunque l’amore, l’incontro inaspettato, rompere gli steccati entro cui abbiamo finito per nasconderci, autocommiserarci, esistere senza vivere?
Non tutto è calibrato alla perfezione, è vero, qualche dialogo (e monologo) di troppo smorza a volte la poesia dell'insieme, come pure il ricorso eccessivo al commento musicale (originale il commento dell'islandese Tóti Gudnason, mentre tra le tante canzoni di repertorio plauso sincero per la scelta di Cosmic Dancer dei T. Rex e Noi non ci saremo dei C.S.I.), ma sono vizi di forma che non inficiano la bontà di un racconto capace di farsi strada sotto pelle, arrivando al cuore. Per rimanere sospeso in quel luogo indefinito fatto di emozione, e memoria.