PHOTO
Brynjar Snær Þrastarson
Dopo l’uscita nelle sale islandesi lo scorso anno, Non volere volare, film d’esordio del regista e sceneggiatore Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, arriva anche nelle sale italiane il 18 aprile grazie a I Wonder Pictures. Commedia pungente e surreale, il film racconta di un gruppo di viaggiatori che cerca di superare la propria paura di volare iscrivendosi a un corso per aerofobici.
Superare i propri limiti
E se le nostre paure fossero il riflesso dei limiti che noi stessi ci imponiamo? Questa la premessa di Non volere volare che ci presenta un gruppo di persone, Sarah (Lydia Leonard), Edward (Timothy Spall), Coco (Ella Rumpf) e Alfons (Sverrir Gudnason) la cui paura di volare rappresenta solo la superficie di un disagio umano più profondo. Guidato alla volta dell’Islanda dall’inesperto Charles (Simon Manyonda) dell’agenzia Viaggiatori Impavidi per un volo andata e ritorno che dovrebbe rappresentare il passaggio finale del corso, il gruppo si ritroverà bloccato nella terra del ghiaccio e del fuoco a causa di un’improvvisa tempesta di neve. Un’occasione che costringerà tutti a fare i conti con una serie di assurdi imprevisti che permetteranno loro di fronteggiare la propria paura.
In questo senso il regista sfrutta l’aerofobia come metafora per raccontare delle forme di malessere più radicate presentandoci dei personaggi che, con le loro ossessioni e insoddisfazioni legate a un’ansia tanto emotiva quanto sociale, ci parlano molto di noi e della nostra necessità di voler controllare ogni aspetto della vita. Un mindset che è possibile abbandonare soltanto superando quella comfort zone (sotto questo punto di vista è interessante che il titolo originale del film sia Northern Comfort, in riferimento al cocktail che viene offerto ai viaggiatori nell’hotel a cinque stelle in cui sono costretti ad alloggiare) e andando oltre quei limiti che, molto spesso, sono autoimposti.
Una narrazione nervosa
Non è quindi un caso che il paesaggio islandese, ripreso in modo tale da enfatizzarne il fascino e l’inospitalità, diventi il setting ideale per il dipanarsi di vicende grottesche e inverosimili sui cui - tra tutte, svettano i personaggi di Sarah ed Edward interpretati rispettivamente da una bravissima Lydia Leonard con un viso costantemente contrito e da un Timothy Spall che si aggira per i corridoi dell’hotel, lussuoso quanto asettico, portando con sé un pizzico di British humor.
Una narrazione nervosa, messa in evidenza anche da una scrittura essenziale, da movimenti di macchina irrequieti e da un montaggio che frammenta la continuità degli eventi; scelte stilistiche che vogliono sottolineare il disagio dei personaggi mettendo in scena quella che, solo in apparenza, è una storia corale ma che in realtà è il viaggio (in tutti i sensi) di Sarah. È lei infatti che seguiamo fin dall’inizio e, attraverso i suoi occhi, esperiamo un’ansia nei confronti della vita che è anche un po’ nostra. Almeno fino alla liberazione finale in cui Sarah, finalmente, distende il suo viso e sorride.