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Alessandro Borghi e Luca Marinelli in Non essere cattivo
La rotonda di Ostia, “il gelatino”. Claudio Caligari ci riporta sin da subito lì dov'era iniziato tutto, nel 1983, con Amore tossico. Stavolta è il 1995, il gelato lo sta mangiando Vittorio (Alessandro Borghi), a farglielo "pesare" è l'amico di una vita, Cesare (Luca Marinelli). Vittorio però, a differenza dei predecessori Enzo e Ciopper, ha già "svòrtato": non è più tempo di eroina, siamo in un'altra epoca, quella dello sballo sintetico (pasticche) e della sniffata compulsiva.
Figli della strada, i due conoscono solo un modus vivendi, fatto di notti in discoteca, macchine potenti, alcool, spaccio di cocaina… Fino a quando Vittorio non incontra Linda (Roberta Mattei), madre single, e decide di cambiare vita. Inizia a lavorare come operaio e prova a coinvolgere anche Cesare, che adesso frequenta l’ex dell’amico (Silvia D’Amico) e sogna di costruire una famiglia insieme a lei. Ma il richiamo della strada, per lui, avrà di nuovo la meglio sui buoni propositi.
Terzo lungometraggio di Claudio Caligari in 32 anni di carriera, Non essere cattivo (scritto insieme a Giordano Meacci e Francesca Serafini) vede il ritorno dietro la macchina da presa del regista diciassette anni dopo L’odore della notte, capolavoro del 1998 interpretato da Valerio Mastandrea. E proprio grazie agli sforzi di quest’ultimo (qui in veste di produttore) il nuovo film di Caligari – già molto malato, poi deceduto a lavorazione ultimata, prima della post-produzione – ha visto la luce.
Imperfetto e bellissimo, Non essere cattivo (facile a dirsi, più difficile riuscirci in certi angoli di mondo) rappresenta la giusta sintesi, l’ideale via di mezzo tra Amore tossico e L’odore della notte: la solita “urgenza” di voler raccontare attraverso una “piccola” storia il cuore di un periodo, e di un contesto, ancora una volta grazie ad una direzione degli attori impeccabile. Il motore di tutto, in fondo, è proprio lì, nell’incredibile prova di Marinelli e Borghi, nell’alchimia di un legame che squarcia lo schermo con violenza.
Dopo la “ròta” degli anni ’80 (Amore tossico) e le azioni criminali “di rivalsa” del poliziotto borgataro de L’odore della notte (ambientato tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80) Caligari si concentra su altre ossessioni, ci riporta a metà anni ’90 anche per ricordarci come iniziò ad insinuarsi il degrado “sintetico”, l’allucinazione di una “bella vita” da poter raggiungere col minor sforzo possibile: “Ma che è? N’epidemia de lavoro?!?” tuona il Brutto (Alessandro Bernardini) quando vede tornare dal cantiere Vittorio e Cesare.
Protagonisti assoluti, certo, ma contornati da uno stuolo di comprimari che riportano finalmente i “caratteristi” al centro di un film italiano: il grande merito di Caligari è anche questo. Sospeso in una narrazione che può sembrare senza tempo, regista con cui il cinema italiano ha più di qualche debito.
E che termina la propria corsa lì dove era iniziata, a Venezia, quando nel 1983 Amore tossico venne premiato come migliore opera prima. Fuori concorso, e da un certo punto di vista è forse giusto anche così: fuoriserie, non catalogabile. Maestro.