Presentato prima al Festival di Locarno del 2019 e ora al XVIII Ravenna Nightmare Film Fest, Nimic segna un’ulteriore tappa nell’attento percorso di posizionamento di Yorgos Lanthimos nel panorama del cinema d’autore contemporaneo. Autore divisivo che – per citare il divino Arbasino – si trova per anagrafe e fertilità creatività in piena fase “solito str...”, dopo l’exploit internazionale de La favorita, Lanthimos è impegnato a calibrare l’equilibrio tra la definizione di uno stile identificativo e la fruibilità oltre i limiti della cinefilia d’essai.

La presenza di Matt Dillon – un divo disponibile ad approfondire con il suo appeal da outsider – sottolinea l’intelligenza (ma anche l’abilità) di un autore che usa le forme del cortometraggio per continuare un discorso più ampio. Lanthimos torna al “film breve” per un esercizio d’alta scuola: un laboratorio per lavorare sulle mediazioni dello stile e imparare a schivare le trappole del manierismo, una palestra per uno sguardo che si sta via via misurando con un pubblico nuovo.

Lo fa servendosi di un attore riconoscibile ed esperto, che come le altre star scelte negli ultimi film più mainstream si affida completamente a lui per far emergere zone d’ombra di rado sondate e offrire profili divergenti rispetto agli utilizzi più consolidati. Con la preziosa complicità di Dillon, Lanthimos offre un saggio della sua visione d’autore condensata in appena dieci minuti, un arco breve ed essenziale che non suggerisce l’ipotesi di un film mancato ma riflette l’evidenza di un’idea che ha senso nella misura in cui è contenuta in un corto.

 

Che racconta l’incontro fortuito, in metropolitana, di un tranquillo padre di famiglia, un violoncellista le cui note riecheggiano nel corso di tutta la storia, con una sconosciuta che ripete misteriosamente le sue parole, seguendolo a casa fino a sostituirsi a lui (mirabile lo switch feticista), senza destare alcuna preoccupazione nei congiunti.

Un incubo circolare, in cui il tempo avvolge il protagonista rimbombando in tutto il suo inquietante eterno ritorno. Nimic è un’allucinazione che dalla perdita dell’identità si slancia verso un territorio distopico meno personale, una fantasia surreale modulata sull’impeto visionario del regista espresso da grandangoli estremi che deformano una realtà sfuggente e inafferrabile. Formalmente impeccabile, è un passo in avanti nella carriera di uno dei più rampanti registi degli ultimi anni.