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Nessuna qualità agli eroi
Nessuna qualità agli eroi è il secondo lungometraggio di Paolo Franchi, dopo il convincente esordio de La spettatrice. Opera seconda, che in Italia - non ci chiederemo qui il perché - pare risultare ancor più difficile che nel resto del mondo, non solo dal punto di vista produttivo, ma da quello artistico tout court. Franchi non sfugge a questa "maledizione" e confeziona un film non riuscito, imbrigliato da un'attitudine estetizzante che non trova quasi mai conforto nel plot. La storia di estrazione e ambientazione borghese - tanto per cambiare... - ha due protagonisti: Bruno Ledeaux (Bruno Todeschini), in cattive acque finanziare e relazionalmente immote: il rapporto con la moglie Anne (Irène Jacob), inficiato dalla sua sterilità inconfessa, e non solo, e Luca (Elio Germano), figlio "problematico" del banchiere-usuraio nelle cui mani è finito Bruno. Co-produzione italo-svizzera (per il nostro Paese l'ITC Movie di Beppe Caschetto), distribuita da BIM, Nessuna qualità agli eroi è il primo a passare al Lido dei tre film italiani in concorso: giudicato sulla carta dai più quale nostro asso nella manica, non fa ben sperare per le sorti patrie... Lavorando sui personaggi con una costruzione a incastro, e soprattutto a specchi (Luca, Bruno e i rispettivi assenti genitori), Franchi assembla un microcosmo in cui si fatica, innanzitutto, a rintracciare una verosimiglianza, almeno costante. Stante l'annosa e italiana incongruenza borghese di fatti e situazioni, a lasciare quasi sconcertati è l'atonia che lega le reazioni "emotive" dei personaggi, che nella pioggia e nell'algidità torinese trovano uno sfondo dal quale non si staccano se non per "strappi" sessuali o repentine e istantanee crisi. Per il resto, soprattutto Anne pare accogliere con gesti e parole l'"anormalità" del coniuge quale "normalità", come se niente fosse: è l'ovatta, leggi ottusità e stasi, a soffocare la loro vita, e insieme il film. Viceversa, musica e rumori - da dimenticare il design sonoro, quasi mai così enfatico e nonsense nel nostro cinema "d'autore" degli ultimi anni - lasciano presagire sempre cambi e colpi di scena che puntualmente deludono le aspettative, non solo drammaturgiche ma, appunto, di mera verosimiglianza. Un esempio su tutti, il complesso movimento di macchina che parte dal corpo rannicchiato di Bruno sul prato antistante il museo, percorre in primissimo piano il manto di foglie per concludersi in campo lungo sul museo stesso, con un'analoga ascensione sonora del tutto ingiustificata dal "momento storico". Forma e contenuto proseguono su binari paralleli, reciprocamente estranei, con inquadrature, tagli e prospettive la cui ostinata singolarità e "difformità" non fa che risolversi in sterile esercizio di stile. Sul fronte delle interpretazioni, se Todeschini e la Jacob paiono uniformarsi - ed è un male - senza troppi problemi al canovaccio di Franchi (sceneggiatore con Daniela Ceselli e Michele Pellegrini), l'"eroico" Elio Germano è totalmente fuori parte, condannato in una camicia di forza anespressiva da cui non fa abbastanza per liberarsi, tenendo i pugni in tasca. Un giudizio sul film, il nostro, duro, ma Franchi lo merita, perché con La spettatrice aveva dimostrato qualità che qui non abbiamo ritrovato. Fortunato quel cinema che non ha bisogno di eroi...