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Una ragazza scende da una macchina ed entra nel pronto soccorso di un ospedale. È visibilmente impaurita e si rivolge con circospezione a un’infermiera. Dice di essere stata stuprata da un tassista, sta perdendo sangue ormai da diverse ore. Per poter essere ricoverata e operata c’è bisogno del benestare della famiglia e così la ragazza fa una telefonata al fratello, che sopraggiunge poco dopo e, messo a conoscenza dell’accaduto, comincia a inveire contro di lei rimproverandola per la sua imprudenza.
Quella che sembra una banale lite tra fratello e sorella si rivela ben presto una messa in scena: i due giovani in realtà sono amanti alle prese con un problema fisico sopraggiunto in seguito a un rapporto sessuale. Non sono sposati e non possono esibire alcun documento. Senza il consenso del padre, la ragazza non può di fatto avere accesso alle cure mediche necessarie. Iniziano allora a vagare nel gelo notturno di Teheran, di ospedale in ospedale, nella speranza di incontrare una persona disposta ad aiutarli. Il loro angoscioso viaggio si concluderà nel riverbero azzurrato di una spettrale alba, che riflette l’orrore residuale della notte appena trascorsa.
Ottima prova di regia per l’iraniano Ali Asgari che con questo suo primo lungometraggio ci regala un incredibile racconto sulla condizione della donna nell’Iran dei nostri giorni. La macchina da presa è rispettosa, segue i protagonisti mantenendosi a distanza di sicurezza, senza invadere lo spazio del loro dramma umano, mostrandoceli spesso di spalle, come due sagome scure proiettate costantemente in avanti.
In questa spirale di moto perpetuo emerge una figura femminile dolente, che si trascina dietro l’ingombro del suo giovane corpo ferito con dignità e rassegnazione, a testimonianza del fatto che non esiste alternativa possibile tra l’essere figlia e l’essere sposa. Tertium non datur: nell’interludio della scelta, della libertà e del desiderio ci sono solo ombre indistinte, destinate a dissolversi sul limitare della notte, inghiottite dal gorgo della paura e della vergogna.