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Nahid
Il ritratto a tutto tondo di una donna con il cuore diviso tra l’amore per il figlio e quello per un vedovo che vorrebbe sposarla. Sullo sfondo la società iraniana e le sue assurde regole patriarcali. Sembrerebbe il soggetto ideale per Asghar Farhadi questo Nahid, in gara in Un Certain Regard, interpretato peraltro dall’intensa Sareh Bayat, già ammirata in Una separazione. E’ invece un’opera prima diretta dalla sceneggiatrice e regista Ida Panahandeh, che molto deve al suo celebre concittadino ma, a giudicare dagli esiti, non ancora abbastanza.
Ambientato in un freddo villaggio del Nord, tra le sponde di un fiume che simboleggiano la lacerazione interna alla protagonista, Nahid è un classico esempio di melodramma neorealista sbilanciato più sul sentimento che sull’affresco sociale. La figura incarnata da Sareh Bayat rimanda a certe eroine del cinema americano di una volta, come la Ellen Burstyn di Alice non abita più qui: donne fiere e indomite, costrette a farsi carico di tutto per le mancanze dei maschi, salvo non poter rifarsi una vita che l’arroganza maschile resta in agguato. Qui Nahid non può sposare l’uomo che ama perché, nel qual caso, quello da cui ha divorziato minaccia per ripicca di portarle via suo figlio.
Il passo è lento, lo sviluppo procede tra sotterfugi, matrimoni a tempo (un istituto da noi sconosciuto), ricatti e bugie, finendo per incagliarsi nella ripetitività di situazioni che – ed è qui la sostanziale differenza con Farhadi – non crescono in intensità, addensandosi concentricamente fino a generare un vortice emozionale e narrativo, ma si susseguono come tanti quadri. Perciò nonostante la bravura di Bayat e l’approccio dichiaratamente sentimentale, Nahid non prende come dovrebbe e rischia semmai di evaporare nella luce umida e opaca che lo attraversa.