L'ultimo film in concorso della sezioni Orizzonti parla azero. Viene infatti dall'ex repubblica sovietica e si tratta come per altri titoli di Venezia 2014 di una riflessione sul destino dei paesi devastati dalla guerra.
Nabat è il titolo ma anche il nome della protagonista, una donna che vive ai margini di un villaggio cui il conflitto ha strappato l'amato unico figlio. Le truppe nemiche stanno per arrivare nella sua regione remota, ma lei rifiuta caparbiamente di lasciare la casa e il marito moribondo preferendo andare incontro a un destino segnato.
Madre coraggio sicuramente, Nabat incarna ben altre immagini. È la madre per antonomasia. È la patria che si prende cura dei propri figli. Non ultimo la conservatrice di una memoria che altrimenti andrebbe perduta. Figura esemplare dunque, cui presta il proprio volto l'intensa attrice iraniana Fatemeh Motamed Arya chiamata sul set dopo che il regista Elchin Musaoglu aveva fallito ogni ricerca in patria.
Il ruolo, praticamente muto, poggia sulla sua straordinaria intensità mimica e fisica. Corpo-madre piegato dal dolore, dalla fatica del vivere, dal peso dei ricordi.
La guerra, suggerisce il regista, non conosce confini. Ogni vittima è vittima del mondo. Una tesi non nuova ma le immagini di cui di serve per enunciarla suggeriscono coerenza stilistica, respiro narrativo, rigore formale.
Orizzonti chiude così in bellezza, confermandosi come la sezione più attenta ai nuovi autori e alle cinematografie meno presenti sul mercato. E non per questo meno interessanti. Anzi.