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L’età di mezzo, e forse in medio stat virtus, almeno nella capacità di indagine empatica. Di che cosa è capace oggi un adulto? N-capace è l’opera prima di Eleonora Danco, già nota a teatro, e non solo, quale autore, regista, attrice, performer. Il talento si trasferisce intatto sul grande schermo: regista, sceneggiatrice, attrice di una docu-fiction che prova tra Terracina e Roma a trovare il legame tra vecchi e adolescenti, chi sta per finire e chi non ha ancora iniziato. Supportata dalle musiche elettroniche di Markus Acher, di bianco vestita, spesso a letto ovunque sia, con piccone in città, la Danco chiede innanzitutto alla madre, defunta, il permesso di entrare in acqua, come fanno i bambini desiderosi di bagnarsi nonostante quell’inevitabile “hai appena mangiato”.
Ebbene, in quell’acqua entra il film, che può dirsi riuscito: chiedere ai vecchi delle proprie madri, dei propri padri, chiedere agli adolescenti del sesso, dei gay, del cibo, del primo bacio, chiedersi soprattutto che cosa può fare oggi il cinema, non tanto nella forma – la Danco dice di essersi ispirata a De Chirico, Giotto, Bunuel e Surrealismo – quanto nella poetica. Che cos’è oggi il cinema del reale, se non una sospensione dell’incredulità dell’esistente? La Danco vince qui la sua sfida, accetta che il padre alle domande più “scabrose”, ovvero tutte, non accetti di rispondere, accetta insomma che la verità, l’intimità sia, fino a prova contraria, più facile con chi non conosciamo rispetto a chi ci ha messo al mondo. Lo spettatore si trova a metà strada tra quel padre che non vuole morire e quegli adolescenti che, in un modo o nell’altro, tutti sanno di dover trovare ancora il proprio percorso: N-capace è capace di dirci le ragioni degli uni, i vecchi, e degli altri, i giovani, senza cadere nella mera indagine socioantropologica. E lo fa con gli occhi, la voce, il corpo della Danco, che si apre e incalza a uno stupore da fanciullino, soprattutto laddove sul fine vita, l’aldilà, i santi, la fede riceve risposte immanenti, agnostiche.
E’ questa tensione “trascendente”, quella che il film non abbandona mai nemmeno di fronte a risposte terra terra “mi sono mangiato sei uova”, “le donne sono tutte troie”, “se mi nasce un figlio gay mi ammazzo”, che porta N-capace in territori non riducibili al reportage giornalistico e alla videoarte, non confinabili nella risatina per il folklore, la comicità, il nonsense delle talking heads, non sublimati nell’arte-fazione performativa e teatrale. Ecco così che quando il padre e un altro vecchio rivendicano con assoluta certezza l’esistenza dei licantropi a Terracina, bavosi e desiderosi d’acqua ma non pelosi, non ci stupiamo, anzi, ci crediamo. Ne siamo diventati capaci.