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Se vogliamo capire qualcosa in più delle tensioni che sta vivendo la Turchia di oggi, non possiamo che rivolgerci al cinema e alle sue storie nel momento in cui Erdogan mette il bavaglio alla stampa locale e l'Occidente sembra incapace di guardare oltre il suo naso. Miracolosamente sfuggito alla longa manus della censura, il giovane cinema turco dimostra di saper utilizzare verismo e allegoria per fornire la chiave d'accesso a un paese finito pericolosamente fuori dai nostri radar con tutte le sue problematiche.
Mustang è forse l'esempio più eloquente di questa contraddizione, rivelando nella denuncia a un sistema retrogrado e oppressivo un'insperata e sperabile primavera turca.
La storia, scritta dalla regista esordiente Deniz Gamze Erguven insieme alla parigina Alice Winocour, è incentrata su cinque sorelle adolescenti che vivono recluse in una casa di un remoto villaggio della Turchia. Una prigionia decisa dalla nonna e dallo zio a seguito di un mezzo scandalo scoppiato per via di un gioco assai innocente condotto con un gruppo di ragazzi loro coetanei. Ma è difficile trattenere l'esuberanza di queste ragazze, colte in un momento decisivo della loro crescita, tra la scoperta della sessualità e un insopprimibile bisogno di conoscere il mondo. Più aumentano le barriere - architettoniche e psicologiche - più gli espedienti di fuga si faranno audaci e pericolosi. Fino a che non ci scappa la tragedia.
Pur non brillando di originalità - immediato il confronto con Il giardino delle vergini suicide della Coppola - la sceneggiatura rivela un'intelligenza dei sentimenti e una sensibilità fuori dal comune, che trovano piena adesione nelle vivide performance delle cinque protagoniste, naturalmente dotate e ben dirette dalla Erguven. Cui si può rimproverare semmai il ricorso ad alcune scorciatoie drammaturgiche e un eccessiva rifinitura della messa in scena, che a tratti rendono il film un po' scontato e laccato.
Ma l'importanza di Mustang travalica, come detto, i suoi meriti artistici. Per quel che racconta della Turchia, e per quel che dice delle nuove strategie di espansione messe in piedi dalla Francia. Nonostante il film sia girato da una regista di Ankara, ambientato in Turchia e parlato in turco, è stato scelto dai cugini d'Oltralpe per farsi rappresentare nella corsa all'Oscar per il miglior film straniero. In un anno in cui potevano schierare il vincitore della Palma d'Oro, Dheepan, i francesi hanno preferito scommettere sul trionfatore dell'ultima Quinzaine des Réalisateurs, nel quale hanno messo parte dei capitali e con il quale ribadiscono la loro volontà di rioccupare culturalmente e produttivamente lo scacchiere internazionale. Un'ambizione che merita rispetto.