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"Ascolta, questo non è un racconto, sono molti. Storie di nessuno, ma possono appartenere a tutti. Parlano di fortuna, amore, oro e morte. Sono storie senza nome, che nascono dalla necessità. Parlano del valore del denaro e delle sue conseguenze”
Già l’esortazione della voce narrante, che accompagna i frame iniziali in cui due galli da combattimento si fronteggiano, ci fa immergere nel mondo amaro, apparentemente distante ed anomalo di Mother Lode di Matteo Tortone.
Presentato nell’edizione 2021 della Settimana della Critica alla Mostra del cinema di Venezia e vincitore del premio FESCAAAL al 31° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, il film ha come protagonista Jorge, un giovane mototaxista di Lima, che per cercare fortuna decide di lasciare la famiglia per spostarsi nella miniera La Rinconada, la più pericolosa delle Ande Peruviane.
Dalla scelta di raggiungere “la città più vicina al cielo”, dettata più dal bisogno che dalla volontà, inizia un viaggio dove la realtà si mescola senza soluzione di continuità all’immaginazione e alle millenarie superstizioni appartenenti a credenze che spesso trascendono la logicità.
Ma proprio come viene affermato in precedenza, la storia di Jorge è la storia di tanti, di molti, che ogni anno si spostano verso quei luoghi, attratti dalla possibilità di arricchirsi e, soprattutto, di elevare la propria condizione contraddistinta dall’insanabile miseria.
Il docudrama sceglie di privilegiare come punto di osservazione quello di Jorge; una prospettiva sì individuale ma significativamente universale. È il camminare, il faticare e il lavorare del giovane a guidare lo spettatore alla visione senza filtri del contesto indigente, trasudante privazioni e sacrifici. Il saturato bianco e nero ne acuisce i contorni e la drammaticità, conferendo a quelle panoramiche sui paesaggi naturalistici, ritraenti la maestosità della natura come fossero cartoline stampate, la durezza corrispondente alla situazione reale.
In questa ottica anche gli agglomerati di baracche fatiscenti che richiamano alla mente presepi antichi, traducono lo spazio dove a manifestarsi non è la favola, ma fame e miseria. A muoversi nel fatiscente e irreale presepe, l’umanità laboriosa e speranzosa impegnata alla moderna corsa all’oro a cui, irrimediabilmente, si collega il mito della ricchezza. “L’oro appartiene al diavolo”: questa è infatti la convinzione dei minatori peruviani, palesando come usanze e tradizioni popolari governino i modi di ragionare e vivere, rendendo complesso (se non è impossibile) distinguere cosa è reale e cosa sia leggenda.
Mother Lode è quindi un viaggio iniziatico moderno, un racconto di formazione dove il protagonista percorre difficili tappe, senza mai avere un momento di rassegnazione visibile, facendo emergere come questo sia destino comune di tantissime altri ed altre che hanno dovuto rinunciare alla spensieratezza per immolare la propria esistenza al sacrificio, contribuendo attivamente a quella che poi in realtà è la nostra di ricchezza.