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@ P.Ciriello_Alessandro Borghi
Anche in Italia si pensa a un cinema distopico, post apocalittico. La “Groenlandia” di Matteo Rovere da anni si confronta con i generi, li rielabora, dimostra che da noi si possono girare action, avventure sulla fondazione di Roma, e adesso ragionare su un futuro ben poco roseo. In Mondocane il nostro è un Paese fantasma, che vive sulla memoria dei bei tempi andati. A Taranto è la criminalità a comandare, la polizia è già sconfitta in partenza.
L’esordiente Alessandro Celli realizza un film ambizioso, si concentra sulle atmosfere torbide, sui colori senza smalto, sul fascino dell’oscurità. L’intuizione è quella di ribaltare gli schemi. I criminali sono minorenni a cui è stata strappata l’infanzia, solo i loro capi sono adulti. A volte si passa da Gomorra a Suburra, traghettati appunto dalla Paranza dei bambini. Ma l’intento non è quello della condanna sociale. Celli punta sul disincanto, su una realtà che non è poi così lontana. Aggiungendo qualche omaggio letterario a Il signore delle mosche.
Il focus è sui più piccoli, sulla legge della strada, sull’innocenza perduta. Il titolo Mondocane, oltre a richiamare il nome del protagonista, è un grido verso il correre del tempo, verso le regole crudeli che determinano la crescita delle persone. Chi ruba la scena è Alessandro Borghi, ormai tra i migliori a delineare l’identità del malavitoso. Un’interpretazione molto “fisica”, la sua, che a tratti potrebbe ricordare quella di Tom Hardy in Bronson di Nicolas Winding Refn. È lontano da Non essere cattivo, è un’evoluzione di Suburra. Riempie le inquadrature, con il suo sguardo luciferino evoca la violenza, in un film duro, non per palati facili.
MONDOCANE di Alessandro Celli @P.Ciriello
Lo spirito è a suo modo politico. La terra in cui tutti vorrebbero scappare è l’Africa, dunque la provocazione è servita. Roma è l’immagine opaca di una metropoli che ha avuto un’aura magica ormai perduta. E il terreno di battaglia è Taranto, una città da tempo lacerata e terreno di malavita. Mondocane suona come l’ultimo avvertimento. Nel futuro immediato a pagare il prezzo più alto potrebbe essere ogni individuo, senza distinzione tra buoni e cattivi.
Nella sua essenza tribale, anarchica, la vicenda riscopre di tanto in tanto i sentimenti di fratellanza, famiglia, ascesa e caduta, in un luogo in cui non c’è più spazio per il domani, anche se si è giovani. La regia di Celli è solida, la voglia di plasmare immaginari tipici degli schermi d’oltreoceano è dichiarata, rivissuta con sguardo sincero. Presentato alla Settimana della Critica a Venezia 78.