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Mixed by Erry - Foto A. Pirrello
C’era un tempo, neanche troppo lontano, in cui trascorrevamo pomeriggi, nottate, a creare compilation, riversando su musicassetta i nostri brani preferiti, gli album delle band del momento, l’intera discografia di mostri sacri del passato o, ancora, le proposte alternative di emittenti radiofoniche che ci aprivano mondi su scenari ancora tutti da scoprire, come la techno e la idm. I più temerari si producevano poi nell’atto artistico di stilare la tracklist sul foglietto contenuto nella custodia del supporto con grafie ricercate e slancio di colori.
Tra le dichiarazioni d’amore dell’epoca c’era anche questo gesto, in fondo, impiegare il proprio tempo per confezionare una compilation da regalare alla persona amata, con la speranza che poi - ascoltandola - avrebbe pensato a noi.
E a ben vedere la rapida, inaspettata scalata che racconta Mixed by Erry prende le mosse proprio da un’audiocassetta realizzata sì conto terzi, ma pur sempre per amore.
Classe 1981, già artefice della trilogia di Smetto quando voglio, Sydney Sibilia si appassiona nuovamente ad una storia vera, dopo L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, e torna nei bassi napoletani degli anni ’80: è qui, a Forcella per la precisione, che prende vita l’epopea di un giovane ragazzo, Enrico Frattasio (il semiesordiente Luigi D’Oriano), mediano di tre fratelli, appassionato di musica con l’ambizione di diventare un dj. Sogno che in un certo senso esaudirà, ma attraverso una via dissimile rispetto a quella delle “classiche” esibizioni live nei locali.
Prodotto al solito dalla Groenlandia di Matteo Rovere, Mixed by Erry prende le mosse dal libro omonimo di Simona Frasca (ed. Ad est dell’Equatore), a sua volta omonimo di un marchio di fabbrica - “Mixed by Erry”, appunto - certificazione del “falso originale” con cui Frattasio e i suoi fratelli, oltre ad una rete sempre più espansa di “collaboratori”, finirono per scalare le vendite dell’intera industria discografica nazionale. E non solo.
Il film parte dalla fine, dagli anni ’90, con l’ingresso in carcere dei tre, accolti dagli altri detenuti con gli onori che vengono riservati solamente a pochi eletti: “Io sto qui dentro da vent’anni, ma si può sapere chi cazzo sei per avere tutti questi soldi?”. Il racconto a questo punto torna agli inizi della famiglia Frattasio, al 1976, con i tre ragazzini che aiutano il papà (Adriano Pantaleo, il Vincenzino di Io speriamo che me la cavo) a imbottigliare il tè nei vuoti di bottiglie da whisky da rivendere poi come tale ai turisti in arrivo alla Stazione di Piazza Garibaldi o sulle bancarelle di qualche mercato rionale. “Ma noi siamo poveri, papà?”, la domanda di Peppe, il maggiore (che poi sarà incarnato da Giuseppe Arena): “Ricordati che oltre ad un piatto in tavola l’altra cosa che non mancherà mai in casa Frattasio è l’onestà”, la risposta. Ed è uno scarto che fa sorridere, certo, ma che allo stesso tempo sa restituire il lato umano di un’arte, quella della contraffazione, che dal finto whisky paterno conduce alle decine di laboratori che avrebbero poi custodito il segreto di una “riproducibilità tecnica” capace di portare sul mercato le compilation più svariate, comprese quelle di Sanremo a festival ancora in corso, ben prima della release ufficiale (e come riuscivano a farlo è il segreto che il film svelerà solamente a metà titoli di coda): in fondo “io volevo solamente essere un dj”, ripeterà più volte Erry, che nel racconto di Sibilia è tratteggiato - lui e tutto il baraccone annesso - più con la benevolenza che si regala ai pionieri portatori di utopie rivoluzionarie che con la morale di un giudizio sull’aspetto illegale della questione. Che è comunque cavalcato, incarnato dalla figura del finanziere interpretato da Francesco Di Leva, come lo è la questione dei legami sotterranei con figure delle imprese produttrici di supporti magnetici e di apparati di registrazione (il personaggio di Fabrizio Gifuni).
"Ti ho portato Napster nell’era analogica", cantava qualche anno fa il rapper Andre nella canzone che rendeva omaggio a Erry (mentre nel film la title track è firmata da Liberato), e il cuore della faccenda in fondo è tutta qui: Mixed by Erry ci riporta in una sorta di preistoria dove la pirateria era qualcosa che non prevedeva ancora nessuna normativa (non a caso la FPM - Federazione contro la pirateria musicale e multimediale nasce nel 1996...) e l’avvento del compact disc (supporto che Frattasio non mancò comunque di maneggiare...) veniva osservato al di qua di una vetrina allo stesso modo di un misterioso manufatto proveniente da un altro pianeta.
Agile per estetica e narrazione, l’opera di Sibilia funziona meglio nella prima parte, a giochi non ancora definiti, ma la sfida reale del film sarà quella di saper dialogare con generazioni che con buona probabilità non hanno mai visto, né toccato una musicassetta, abituate ad un altro tipo di rapporto con la fruizione musicale, a saltare rapidamente da un brano ad un altro, ad avere accesso immediato a qualsiasi ascolto.
Una volta, in un tempo neanche troppo lontano, legalmente o meno, non era così, la “fatica” di allora era direttamente proporzionale ad una sedimentazione di note e parole che la velocità di oggi, forse, non contempla più. E non è forse la stessa, identica cosa con i film?