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Mistress Dispeller
È una regista fuori dai canoni, Elizabeth Lo, che negli ultimi anni si è distinta tra le voci più rilevanti del nuovo cinema del reale, già in corsa per Independent Spirit Awards e Critics Choice Documentary Awards grazie al suo lungometraggio d’esordio, Stray, meravigliosa corale canina che raccontava il quotidiano dei randagi di Istanbul come fossero dei flâneur a quattro zampe.
A Venezia 81, in gara nella sezione Orizzonti, porta il suo secondo lungo, sempre ai confini tra restituzione documentaristica e ripensamento nella finzione: Mistress Dispeller (in Italia arriva con il titolo La separatrice di amanti) è una delizia anche per questo dato formale, perché nel darci conto di una storia vera, esemplare per il mondo di cui s’incarica di farci partecipi, non rinuncia né alla precisione di una testimonianza quasi da reportage né al passo incessante di un film che sa essere melodramma ironico ma non troppo, commedia del rimatrimonio, imprevisto triangolo amoroso e spaccato sociologico.
Al centro, una coppia di Hong Kong: quando scopre di essere tradita dal marito, una signora arruola Wang Zhenxi, tra le massime professioniste nel settore delle “dissipa-amanti”, cioè quelle figure assunte per mantenere i legami del matrimonio e interrompere le relazioni extraconiugali adottando qualsiasi mezzo necessario. Una volta superata la curiosità per questo lavoro così in ascesa quanto complesso se non spericolato (alla Mostra, alla Settimana della Critica, si è visto anche il grottesco Peacock, altro film che ragiona sulle aziende impegnate nel dare sostegno alle persone attraverso meccanismi di finzione e manipolazione), il film si rivela meno estemporaneo di quel che si crede.
E così quel che sembrerebbe materia per un bell’articolo da rivista generalista diventa una riflessione sui rapporti umani nella Cina contemporanea (l’industrializzazione dei legami), sullo stato delle relazioni coniugali (si deve restare insieme nonostante l’infedeltà?), sulla distorsione della verità (quand’è che la reticenza si trasforma in menzogna, l’omissione in confessione, il dolore in vendetta?).
Lo – che si è formata negli Stati Uniti e guarda al suo Paese con occhio coinvolto ma consapevole dei divari culturali – mette in scena con discrezione, privilegiando la camera fissa per consegnarci le tempeste emotive che si riflettono nei primi piani i dialoghi faccia a faccia a tavola che si configurano come rese dei conti e giochi di ruolo, i totali su edifici che ospitano tante vite invisibili.