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Mission: Impossible - Protocollo fantasma
Mission accomplished! La quarta avventura di Ethan Hunt - Protocollo fantasma - è tra le più riuscite della saga, Tom Cruise una garanzia. E mentre quelli della sua generazione - lo star system degli anni '80 - si sono ridotti ai dieci piccoli indiani (“Non ne rimase più nessuno”), lui ancora si batte e si dà, le prende e le dà.
La quarta "missione impossibile" di Tom si erge a metafora di una carriera sopravvissuta a se stessa, al pensionamento degli eroi e all'usura dei sex-symbol. Sapeva che riproporre al pubblico smaliziato di oggi l'eroe solo e senza macchia di ieri, sarebbe stato un azzardo. Così, affiancato in produzione dall'infallibile J.J. Abrams, tira dentro nel progetto Brad Bird, regista che sta al cinema d'azione come Walt Disney al porno, regalando alla saga nuova linfa. Bird, noto per aver firmato due dei più divertenti gioiellini della Pixar - Gli incredibili e Ratatouille - porta in dote leggerezza e ironia, ma se la cava alla grande anche quando deve spingere il pedale sull'action regalandoci alcune sequenze memorabili, come l'esplosione al Cremlino e l'inseguimento a Dubai in mezzo a una tempesta di sabbia. Inoltre, cavalcando la nostalgia da guerra fredda di Hollywood, il trio inscena una boutade da Dottor Stranamore, in cui americani e russi litigano mentre un pazzo (Michael Nyqvist, traghettato da Uomini che odiano le donne a “uomini che odiano e basta”) tenta di innescare un conflitto nucleare.
Sono altre però le buone nuove. Innanzitutto la demolizione gentile del mito: l'uomo che scalava montagna e grattacieli a mani nude, si riscopre acciaccato, segnato dagli anni e dalle botte che prende. Zoppica, mugola, finisce in ospedale e quasi fa male guardarlo mentre "offende" il suo vecchio corpo d'acciaio. Per non dire delle esitazioni a lanciarsi da un cornicione o le rimostranze ad arrampicarsi con ventose speciali sul Burj Khalifa, l'edificio più alto del mondo: insomma va bene mettere al sicuro il mondo, ma è meglio salvare prima la pellaccia.
D'altra parte questo senso di fragilità dipende dal malfunzionamento della tecnologia, che pure era stata il fiore all'occhiello di tutte le missioni di Ethan: messaggi segreti che non si autodistruggono, ventose che si scaricano lasciandoti penzolare nel vuoto, cellulari che non prendono, robot che vanno a sbattere ovunque. La tecnologia è tanto esibita come meraviglia - molte le invenzioni che lasciano a bocca a parte in questo episodio - quanto spernacchiata. Meglio affidarsi alla squadra, al guru dell'accessorio Benji Dunn (Simon Pegg), alla bella agente Jane Carter (Paula Patton, ottimo innesto) e al misterioso consulente William Brandt (Jeremy Renner). Tutti imperfetti, valorosi e al servizio del veterano Ethan, la cui trasformazione si compie proprio nell'assunzione di questo inedito ruolo da team leader, più consono all'era del dialogo democratico, e premessa a una futura successione (Renner?).
Unico neo? La durata. Mezz'ora di meno e sarebbe stata una Mission perfetta.