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Miss Violence
Eh, la bellezza dello stare in famiglia! Trombette, torta e cappellini, si festeggia il compleanno dell'11enne Angeliki, eppure i sintomi di un'altra verità sono già full frontal. Audio e video del greco Alexandros Avranas, che porta in Concorso a Venezia70 la sua opera seconda, Miss Violence, so far il meglio film in lizza per il Leone. Violenza familiare, suicidio, pedofilia, incesto, patriarcalità imperante e, sul versante femminile, solidarietà solo nella passività colposa, il film brucia, ma a fuoco lento, camera fissa, silenzi e la violenza sorda che ottunde le coscienze, intorpidisce il quotidiano, sballa verità e finzione, traendo linfa da veri accadimenti, da un mostro della porta accanto in Germania, ma anche altrove, ovunque.
Ad Angeliki la famiglia fa letteralmente la festa, nel senso che lei si butta dal balcone. Una marionetta schiantata al suolo in una pozza di sangue, ma se tale è chi sarà il master of puppets? La famiglia parla d'incidente e tira avanti come se nulla fosse accaduto. Il segreto di questa inconsulta elaborazione del lutto va ricercato negli stessi componenti: il padre (Themis Panou), la madre (Reni Pittaki), la giovane Eleni (Eleni Roussinou), l'adolescente Myrto, i piccoli Alkmini e Filippos. Ed è devastante, ma insieme interrogativo progressivo, ineluttabile, no future: l'orco comanda a bacchetta, mischia nel sangue le generazioni, perpetua il vulnus e l'offesa, ma la sindrome è di Stoccolma, le responsabilità virali, gli innesti spuri e coatti nell'albero genealogico.
Miss Violence non ha fretta di individuare tutte le colpe, perché sono diffuse, reciprocamente nutrienti, con la bambina che schiaffeggia il fratello, la nonna colpita, la figlia di nuovo incinta, la prostituzione per ospite (in)atteso. Insieme agli assistenti sociali, entrano in campo le metafore politiche: gli ispettori entrano nella famiglia, ma non vedono nulla, non possono, meglio, non vogliono, e pensarli alla stregua della trojka UE con i piedi sulla Grecia in crisi, almeno per noi, non è peregrino. Ma se ne può fare a meno, il film parla di altro, ovvero, di sé: messa in scena elementare, nel senso di asettica e chirurgica, attori votati a togliere la luce e dare l'anima dannata e piegata senza scenate e circo, regista, classe '77, che non (si) risparmia nulla, pur concedendo (quasi) nulla al voyeurismo, al sadismo senza quid. Eppure Salò brucia ancora, Seidl e Haneke gradirebbero, in lontananza sfavillano i canini di Yorgos Lanthimos, ma questi sono Funny Games di famiglia, senza estranei. Solo per consanguinei.
SPOILER: Abbiamo chiesto ad Avranas se anziché la catarsi – non catarsi del finale, non sarebbe stato meglio chiudere quando la madre asciuga coltelli e cucchiai, ebbene, ci ha risposto: “Formalmente sarebbe stato forte, ma per rispetto delle tante problematiche, il film doveva continuare, i caratteri completati”. Messa così, ha ragione lui.