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Mio fratello, mia sorella
Le solite parole di circostanza. L'emozione che costringe al silenzio. Poi così, dal nulla, ecco irrompere nel bel mezzo del funerale il figliol prodigo, sparito nel nulla 20 anni prima. Abbigliamento à la Drugo Lebowski e tavola da kitesurf al seguito, Nik (Alessandro Preziosi) sarà l'elemento detonante nell'esistenza della sorella Tesla (Claudia Pandolfi), ansiosa e maniaca del controllo, rimasta sola con due figli - Sebastiano (Francesco Cavallo), violoncellista di grande talento affetto da schizofrenia, al quale la donna ha dedicato la vita e un’ossessiva e soffocante protezione, e Carolina (Ludovica Martino), con la quale invece ha un rapporto difficile e conflittuale - dopo che il marito si è rifatto una vita anni prima.
Neanche il tempo di piangere il padre appena morto, la donna si ritrova, per un singolare patto successorio, a dover convivere per un anno sotto lo stesso tetto con il fratello, pur non essendosi più visti da oltre vent’anni.
È lo spunto tutto sommato interessante di Mio fratello, mia sorella, opera seconda di Roberto Capucci (Ovunque tu sarai, 2017), disponibile su Netflix a partire dall'8 ottobre. L'incontro-scontro tra il Preziosi giramondo-spiantato e la Pandolfi "quadrata" e depressa è il fulcro di un dramedy che prova a ragionare sulla chiusura autoimposta di certe famiglie dove tutto finisce per ruotare intorno all'elemento di unicità che giocoforza si tenta di proteggere, e difendere dai "pericoli" del mondo esterno.
Mio fratello, mia sorella ©LUCIAIUORIOIn questo caso è la schizofrenia del giovane Sebastiano, ragazzo deciso a trasferirsi su Marte per portarvi la musica classica: l'arrivo di uno sconosciuto - lo zio mai visto, per certi versi marziano come lui - potrebbe far saltare quel delicatissimo equilibrio che Tesla si sforza ogni giorno di garantire all'esistenza del figlio. Quasi dimenticando però le esigenze dell'altra figlia, Carolina, per non parlare della propria esistenza, ormai completamente annullata.
Ecco, il film di Capucci utilizza il ritorno di una figura completamente dimenticata dalla routine di questa "famiglia schizofrenogena" per scardinarne le certezze e le rigidità figlie di un canovaccio ormai logoro e superato.
Per alcuni aspetti il meccanismo funziona, ma alla lunga Mio fratello, mia sorella soffre una sequela di eccessi - dalla musica (diegetica ed extradiegetica) invasiva ad una verbosità che si fa didascalia, fino ad arrivare alla rivelazione che giustifica quel vuoto degli ultimi 20 anni... - che mina in alcuni casi anche la bontà delle interpretazioni (le esplosioni della Pandolfi, le manifestazioni di disagio di Sebastiano), conducendo il tutto ad un'escalation verso un finale francamente temibile seppur mosso da indiscutibili, ottime intenzioni.