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Lo spagnolo Alejandro Amenábar (Mare dentro, The Others) conferma con Mientras dure la guerra, suo ritorno a girare in patria dopo quindici anni, quel che cinematograficamente è: elegante, pulito, colto, ma anche imbelle, anodino, calligrafico.
Problema, i difetti si sentono di più quando la storia è Storia, e della più brutte, Guerra Civile e presa di potere di Francisco Franco. Come si può, insomma, affrontare una tale incandescenza con il solo decoro formale, senza sporcarsi mani e inquadrature, senza accendere di converso una scintilla davanti e dietro la macchina da presa? Mientras dure la guerra è quel che accade mentre stiamo facendo altro, ma lungi dall’essere la vita, lungi pure dall’essere la sua canonica riproduzione cinematografica, è piuttosto una simulazione, un diorama manchevole e, in definitiva, colpevole.
Perché l’esemplarità della storia-Storia, il monito anti-fascista così auspicabile e centrale oggi viene depotenziato, quasi messo a regime in una trattazione ordinaria, piatta, labilmente problematizzata: che ci facciamo di un simile, debole memento, che non riesce a farci appassionare dei suoi protagonisti né a rendere emblematico l’affresco? Che ce ne facciamo di un’Arcadia senza pugna?
Scritto da Amenábar con Alejandro Hernandez, il film segue l’intellettuale Miguel de Unamuno (Karra Elejalde), apprezzato scrittore e rettore dell’università di Salamanca, che dopo aver avuto simpatie socialiste ed essersi scontrato con il potere, finendo perfino in esilio, all’avvento della junta militare nel 1936 si dimostra quantomeno riluttante a opporsi, anche solo a criticare. Una decisione, anzi, un’astensione che scontenta i suoi migliori amici, il più giovane collega Salvator (Carlos Serrano-Clark) e il pastore protestante Atilano (Luis Zahera), che al contrario vorrebbero usasse il suo status per sanzionare la violenza che monta, anziché al più discostarsi simmetricamente dalla sinistra repubblicana e dalla destra militarizzata. Infine, Unamuno chiederà udienza al futuro Generalissimo Franco (Santi Perego), ma quale effetto, quale risoluzione potrà sortire?
Belli i costumi (l’alleniana Sonia Grande), niente male le musiche dello stesso Amenábar, pregevole la ricostruzione, ma sono orpelli: latita un ubi consistam, una radicalità poetica, e quindi stilistica, il Cinema che fa tremare i polsi e sporcare le mani. Chissà, se l’ignavia più perniciosa è di Unamuno o di Amenábar.