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Michael
E' un omino, Michael. Basso, con gli occhiali e pochi capelli. Insignificante. La sera, dopo una giornata in ufficio, torna sempre a casa. Parcheggia l'auto nel box, entra nell'appartamento. E abbassa le serrande, completamente. La sua vita, quella "vera", inizia in quel momento: ad attenderlo, nel piano inferiore, ben "custodito" dietro una porta rivestita dalla gommapiuma e un'altra sprangata dall'esterno, un bambino di 10 anni. Che ha una stanza tutta per lui, un letto e un lavandino, libri e giocattoli, scorte alimentari per sopravvivere. Non è chiaro da quanto tempo quel ragazzino sia stato strappato dall'affetto dei suoi cari, quel che è certo è che Michael non ha alcuna intenzione di riportarlo dove lo ha trovato.
Abbandonati, rapiti, molestati, violenti e problematici: a tessere il fil rouge di questa prima metà del Festival di Cannes, ad eccezione di Habemus Papam e The Artist, sono loro. I giovani e i giovanissimi. Non si allontana da queste tematiche l'opera d'esordio dell'austriaco Markus Schleinzer (già casting director per alcuni film di Jessica Hausner e, soprattutto, per Michael Haneke), che anzi alza se possibile il tiro, scrivendo e dirigendo un film per certi versi scioccante: il punto di vista è chiaro, e il titolo è lì a ricordarlo, Michael (interpretato da Michael Fuith) segue da vicino e con rigoroso distacco la quotidianità di un pedofilo, consapevole di esserlo ma convinto allo stesso tempo di aver stabilito un rapporto sano con la sua piccola vittima. Innegabilmente ispirato al cinema di Haneke, sia nella volontà di misurarsi con argomenti a rischio sia, soprattutto, per la concezione di una messa in scena che non può non ricordare quella del maestro austriaco, Schleinzer convince per la capacità di mantenere salda la tensione del racconto, seppur nella sua profonda e palese anaffettività, e per l'enorme coerenza con cui decide di chiudere il film. Soddisfa meno quando cede alla tentazione di aggiungere sfocati personaggi di contorno o particolari sul protagonista per amplificarne gli aspetti di uomo ridicolo e sfigato (attraversa la strada e viene investito, trascorre un weekend sulle piste e un intero pomeriggio a cercare di venir fuori con gli sci dalla neve fresca), quando insiste in una sorta di sadico gioco con lo spettatore nel dilatare lo spazio che lo separa dal colpo di scena del prefinale allo spiraglio di luce che si intravede nel momento in cui viene aperta la porta della stanza dove si trova il bambino. La strada per provare a raggiungere Haneke è appena incominciata: sarà lunga, ma è giusto non abbandonare il cammino.