Sergio (Edoardo Leo), Valeria (Milena Mancini) e Mia (Greta Gasbarri). Una famiglia come tante in un appartamentino di Piazzale della Radio (Roma). Padre ambulanziere premuroso, madre vitale e ancora più affettuosa, la giovane vive l’adolescenza in (apparente) spensieratezza: rossetto pesante e frangetta, i video di Tik Tok, la pizza e il sabato sera con l’amica del cuore, il liceo e la pallavolo. Tutto senza crepe, fin quando incontra Marco (Riccardo Mandolini), uno skinhead dallo sguardo tagliente, più grande di lei. Ed è subito (primo) amore e possessione. Il ragazzo “rapisce” Mia, la riempie di dediche e chiamate, la controlla, la tampina esasperando Sergio che subodora il pericolo per la sua “bambina” ancora troppo acerba per tenere testa al ragazzo. Di lì a breve la vicenda, caricata a orologeria, s’intorbidisce, precipitando in una spirale impredicibile di crudeltà e violenza che segnerà per sempre il destino di tutti i personaggi.

Ivano De Matteo riprende a esplorare i legami famigliari, indossando senza pregiudizi gli occhi di un’adolescente ansiosa di realizzarsi con pienezza. Melodramma relazionale a sfondo autobiografico e di grande investimento emotivo, è sorretto da una scrittura pulsante, ponderata e mai fuori giri. Mia rilucida il telaio narrativo de La bella gente (ma anche, capovolto, de Gli equilibristi): la famiglia come microcosmo assoluto, senza crepe apparenti che attaccato, anzi infettato da un agente esterno – in questo caso il rissoso, sfrontato Marco - si sfalda senza rimedio, senza tornare più allo stato d’equilibrio.

Il regista gestisce la parabola con accuratezza, non perdendo mai il controllo sul capitale sentimentale della storia, che grazie alla recitazione istintuale del terzetto di testa (Leo perfettamente a suo agio nella parte del padre, promossa anche l’esordiente Greta Gasbarri) nel doppio registro comico-drammatico, anche se gioca, forse, troppo acriticamente a La bella e la bestia, regalandoci personaggi giudicati e condannati senza appello, senza premurarsi di scoprirne fragilità e traumi: il ventenne Marco è solo bestiale, senza sfumature.

Incomunicabilità, marginalità sociale e affettiva, adolescenza come ricerca d’identità, amicizia e amore, vendetta e possessione, De Matteo (alla sceneggiatura, come d’abitudine, con la compagna Valentina Ferlan) scende all’inferno e rimane fedele a sé stesso. Racchiude, scena dopo scena, rabbia e angosce di due generazioni che si guardano e non si riconoscono, anche nel dolore. Mia, così distante per papà Sergio, eppure smarrita senza di lui in un flusso liquido di notifiche, pulsioni, aspirazioni, tentazioni pericolose, è il simbolo di una generazione sospesa in un limbo, in transito verso la maturità eppure, ancora, oltre il dolore, maledettamente bisognosa di fari nella tempesta.