PHOTO
Filippo Timi e Alba Rohrwacher in Mi fanno male i capelli di Roberta Torre
“Ho l’impressione di scordarmi ogni giorno qualcosa”. Una, cento, mille Monica Vitti: questa è la Valentina che dialoga con Mastroianni ne La notte di Michelangelo Antonioni.
Ed è anche il momento in cui la Monica di Alba Rohrwacher – di fronte a quella scena – inizia ad identificarsi con i personaggi interpretati dalla straordinaria attrice. Non ha più memoria Monica, sta progressivamente dimenticando il suo passato e, di conseguenza, se stessa. Al suo fianco, Edoardo (Filippo Timi), che la ama profondamente, lascia che questo nuovo gioco diventi la loro nuova realtà.
Sarebbe molto facile, e anche abbastanza sbrigativo, scagliarsi contro il nuovo film di Roberta Torre, Mi fanno male i capelli (celebre battuta della stessa Vitti in Deserto rosso, era Giuliana lì, citazione che peraltro nel film non viene mai rievocata), in primis perché solamente l’aver immaginato un accostamento fisico e di senso con l’indimenticabile musa di Antonioni, nonché meravigliosa compagna d’avventure dei vari Mastroianni, Delon, Sordi, Giannini e via dicendo, è azione folle e coraggiosissima al tempo stesso, ma anche perché – è inevitabile – alcuni passaggi del film (si pensi al momento in cui Monica immagina di dialogare con Alberto Sordi…) prestano il fianco ad un assurdo – la vocina che imita l’attore romano in fuori campo… – che magari non sempre è facile metabolizzare.
Ma superato lo steccato della razionalità, steccato che peraltro ci obbliga – ma non dovrebbe – a misurare la prova di Alba Rohrwacher (che è già “stata” Alida Valli in Finalmente l’alba di Saverio Costanzo…) “in relazione alla” Vitti con la quale stabilisce una sorta di dialogo continuo, a mo’ di trasfigurazione (anche grazie al notevolissimo lavoro sui costumi di Massimo Cantini Parrini, che non ricalcano ma rievocano quelli indossati nel corso della carriera), ecco che poco a poco il film della Torre inizia ad assumere i contorni di una parestesia che ci costringe a fare i conti con la perdita del ricordo, sì, ma soprattutto con la possibilità di una continua interazione con i fantasmi del nostro immaginario: il marito di Monica si presta a quel “gioco” perché in fondo è lo stesso gioco che abbiamo fatto, che facciamo e che faremo anche noi ogni qualvolta una scheggia del nostro bagaglio audiovisivo graffia la nostra quotidianità, il nostro vissuto, la nostra memoria emotiva, e storica.
Tutto quello che è intorno – la casa a Roma abbandonata per trasferirsi sul litorale, i debiti che Edoardo ha con figuri non ben inquadrati (Maurizio Lombardi), la Nicole De Leo di Le favolose che qui vuole tornare in possesso dei “suoi” gioielli, dei suoi abiti… – diviene contorno agente di un discorso che è interessato ad esplorare un altrove impossibile da raggiungere: Monica si perde sulla spiaggia antistante la casa, il marito cerca di riportarla a sé attraverso i 16mm di viaggi compiuti assieme, giornate “memorabili”, come il matrimonio, e altro ancora.
E proprio quando lei, da sola, cerca ulteriori appigli a cui aggrapparsi per non perdersi nuovamente, rovistando tra i dvd ricordo sceglie “Parigi 2019”: sullo schermo compaiono però Mastroianni e la Vitti, La notte, e quel “Ho l’impressione di scordarmi ogni giorno qualcosa”.
Come detto è lo shock che ci porta dentro questo “teatrino immaginario” in cui una donna che sta perdendo se stessa si rivede nella donna che in fondo ha interpretato tutte le donne possibili e immaginabili, senza stereotipi, con umanità: La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Teresa la ladra, A mezzanotte va la ronda del piacere, Amore mio aiutami, Polvere di stelle, chi più ne ha più ne metta, il dispositivo messo in atto da Roberta Torre, anche supportata da una partitura musicale straordinaria firmata da Shigeru Umebayashi (sì, il compositore di In the Mood for Love, proprio quest’anno premiato dalla Festa di Roma), sa mettere in connessione i vuoti e i pieni di identità, toccando anche corde insolite. E creare un cortocircuito commovente, quello tra una donna che sta dimenticando se stessa, il mondo attorno a sé, con le tante rappresentazioni di un’artista che, in fondo, negli ultimi 20 anni della propria vita ha vissuto lo stesso, identico dramma.
Un film a suo modo folle, magico, rischiosissimo, che ci ricorda quanto cinema – con le sue infinite metamorfosi, e frammentazioni – sia l’ultimo baluardo oltrepassato il quale non resta che l’oblio, e la morte.
Alla Festa del Cinema di Roma (in concorso Progressive Cinema) e da domani, 20 ottobre, in sala con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.