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Mi chiamo Maya
In un tragico scontro con un TIR, muore Lena. Niki, 16 anni, e Alice, 8, figlie sue ma di padri diversi, restano sole e affrontano un futuro incerto. In particolare Niki non accetta la casa famiglia cui viene affidata, sceglie di fuggire e porta con sé la sorellina. Niki comincia a vivere alla giornata, ospitata da amiche occasionali e da persone appena conosciute, punk, artisti di strada, cubiste. Se lei è decisa a restare da sola e a rischiare ogni giorno, Alice è troppo piccola e arriva il momento in cui avverte la necessità di chiamare Cecilia, la responsabile dell'affido. Niki tuttavia non vuole cedere e va verso un futuro di incertezze.
Per l'opera d'esordio, Tommaso Agnese prende spunto dalla cronaca. Racconta la storia della fuga di due sorelle, partendo da un dato sociologico: più del 30% dei giovani sotto i venti anni è scappato di casa almeno una volta nella vita. Tra i motivi di questo fenomeno c'è l'incomunicabilità tra genitori e figli, tra adulti e ragazzi. Qui, a dire il vero, le due sorelle non hanno genitori, né adulti di famiglia con cui confrontarsi. E la felicità che regnava tra le figlie e la madre prima dell'incidente non viene spiegata, né torna nel racconto. Si resta con Niki e con la sua rabbia contro il mondo, con la sua voglia di fuga e di ribellione, poco supportata però da contesti, luoghi, ambienti. Discoteche, conoscenze occasionali, rifugi improvvisati: materia certo realistica ma in buona parte forse prevedibile. Agnese cerca di entrare nella vicenda con uno sguardo freddo, da documentarista quale è stato all'inizio di carriera. Prova ma resta un po' incagliato nella fretta di evitare lungaggini narrative, nella ricerca di un eccessivo accumulo di problematiche sociali e di sottrazione di spiegazioni.
Il risultato è un approccio generoso ma fragile, a metà tra indagine e denuncia appena accennata. Niki resta troppo sola e l'assenza di una dialettica convincente ne indebolisce la personalità. Nel ruolo di Niki, Matilde Lutz mette vigore e convinzione ma palesa anche qualche incertezza. Valeria Solarino è Cecilia, l’assistente sociale generosa e comprensiva. Carlotta Natoli è la mamma, forse troppo poco in scena. Qualche flashback per irrobustirne il personaggio, sarebbe stato utile.