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Sei milioni e mezzo sono i tossicodipendenti in Iran, dove si consumano dieci tonnellate di droga al giorno e le forze di polizia non riescono a tenere sotto controllo il traffico illegale in costante aumento. In 135 minuti il lungometraggio del trentenne iraniano Saeed Roustaee, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia76, ritrae ambienti e soggetti del narcotraffico a Teheran: dalle baraccopoli agli hotel di lusso, dai signori della droga agli spacciatori bambini, dalla squadra narcotici della polizia al giudice chiamato a decretare le condanne a morte.
Dall'incipit in medias res alla tensione della scena finale, il ritmo concitato di Metri Shesho Nim non abbandona mai la narrazione, senza per questo impedire il coinvolgimento emotivo dello spettatore con i due personaggi protagonisti della lotta (mai del tutto netta) tra bene e male.
Samad è il poliziotto della sezione narcotici che è disposto a tutto pur di rintracciare il boss della droga Nasser Khakzad. Dopo averlo trovato e salvato da un tentato suicidio, scopre che nemmeno lui è esente da quelle stesse condizioni drammatiche di cui soffrono gli strati inferiori della società.
È estremamente paritario, il film di Roustaee, soprattutto in quel frangente in cui un malinteso rende lo stesso Samad, capo della polizia, sospettato di un coinvolgimento con il criminale.
Contribuisce a uniformare personaggi e situazioni anche la fotografia di Behmanesh, che restituisce una Teheran moderna, fredda e inquinata allo stesso modo per i ricchi e per i poveri, per i "buoni" e per i "cattivi".
Il disfacimento della società causato dalla droga coinvolge tutti, nessuno escluso, e non è concesso riscatto. Una denuncia però si avverte forte e chiara (merito del film): non sarà il sistematico impiego della repressione e della pena di morte contro i criminali ad arginare un problema che nella realtà è connesso con tanti altri.