Ci sono fantasmi che dovrebbero restare tali?

Il film più atteso dell’anno non delude o magari soltanto un po’ chi aspettava un nuovo Apocalypse Now , che deluse chi aspettava un nuovo Padrino . Decisamente soddisfatto chi ama il Coppola perpetuamente avanguardista che vuole esaurire il cinema e arrivare alla fine di tutte le sue possibilità. Per quarant’anni Francis Ford Coppola ha cullato un’ossessione, l’ha coltivata, innescata, maturata in barrique e sempre rimandata. Un progetto immenso per cui ha ipotecato una parte del suo dominio vinicolo, gettandosi anima e corpo in quello in cui credeva, senza trovare uno studio che credesse in lui. Gesto superbo da vecchio magnate appassionato o da eterno debuttante megalomane, Megalopolis assomiglia al “capolavoro sconosciuto” del pittore di Balzac: un quadro che a forza di essere dipinto, ridipinto, ripensato, ritoccato, corretto, finisce per perdere ogni coerenza. E noi spettatori osserviamo i colori confusamente sedimentati e una moltitudine di linee bizzarre, fino a scovare in un angolo della tela la bellezza sconcertante di un frammento sfuggito a quell’incredibile, lenta e progressiva distruzione.

Megalopolis
Megalopolis
Adam Driver as Cesar Catilina in Megalopolis. Photo Credit: Courtesy of Lionsgate (Courtesy of Lionsgate)

L’ultimo dei romantici fa surf sotto le bombe e inventa un bacio alle altezze vertiginose del mondo comico di Harold Lloyd. E Megalopolis non è mai così commovente come quando riconosciamo Coppola dietro ai suoi personaggi. Nel vertiginoso incipit il suo protagonista scopre il potere di fermare il tempo, poi lo perde e lo ritrova innamorandosi. Il grande Icaro di Coppola è una favola incisa su una didascalia di marmo. In un futuro decadente, New Rome, conforme a New York ma vagamente futuristica, sprofonda nella disperazione e i patrizi lottano per il potere. Il film confronta due uomini e due visioni opposte del futuro: un architetto visionario e idealista, Cesar Catilina (Adam Driver, sempre caraxiano e di una plasticità rara), inventore di un materiale da costruzione con proprietà molecolari miracolose, e Frank Cicero (Giancarlo Esposito), sindaco conservatore che sostiene una ristrutturazione di cemento e corruzione. Il primo governa, il secondo sogna una New Rome eco-responsabile e high-tech. Tra loro c’è Julia (Nathalie Emmanuel), amante di Cesar e figlia di Cicero.

Megalopolis racconta con naivëté disarmante la storia di una vita, di una famiglia e di una forma d’arte che solo un vecchio senza età e senza più nulla da dimostrare poteva apparecchiare. Tuffato in un’estetica anni Ottanta, l’ossessione del film è il tempo, sospeso in cima al Chrysler Building, compasso perfetto che misura la città e crea immagini e iperboli, ellissi e parabole.

© 2024 Lionsgate
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Adam Driver as Cesar Catilina and Nathalie Emmanuel as Julia Cicero in Megalopolis. Photo Credit: Courtesy of Lionsgate (Courtesy of Lionsgate)

Opera tronfia o farsa barocca, potremmo riassumere il fallimento di Megalopolis in formule lapidarie ma preferiamo concentrarci sull’idea folgorante di un happening live che ci riporta alle origini fieristiche del cinematografo: un ‘impiegato’ del cinema si accomoda letteralmente davanti allo schermo con un microfono in mano per dialogare con le immagini. È difficile non condividere l’ambizione bergsoniana di Coppola, il desiderio intatto di sperimentare, di spostare i confini, di ibridare i generi, i toni e le forme, con una fiducia incrollabile in un’arte di cui ha visibilmente perso il controllo. Tra Marco Aurelio e Ralph Waldo Emerson, Megalopolis è libero e kamikaze, è fuori dal tempo e dentro il suo tempo come ogni grande film, è un ponte tra la Roma antica e la New York di un futuro prossimo, in cui emerge l’incubo Trump, un Shia LaBeouf più labeoufiano che mai.

L’architettura razionale di Megalopolis sostiene un secondo grado, un corpo bizzarro e composito, una creatura di Frankenstein, un’orgia in cui SF, commedia satirica, fantasy e peplum banchettano. Digressioni pedanti si alternano a vibranti soliloqui sul futuro dell’umanità, la prosaicità gioca a rimpiattino con la nobiltà, il grottesco con il monumentale.

© 2024 Lionsgate
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Kathryn Hunter as Teresa Cicero and Jason Schwartzmen as Jason ZanderzMegalopolis. Photo Credit: Courtesy of Lionsgate (Courtesy of Lionsgate)

Coppola fa muovere le statue, “canta” Puccini, cita spudoratamente se stesso, infila dialoghi in latino, filma il tempo che marcia verso la morte e che vorrebbe tanto fermare, rompe le frontiere con lo schermo… Quasi impossibile anticipare i colpi di scena di questa fantasia coppoliana, Megalopolis è (davvero) tutto. Produttore, sceneggiatore e regista, l’impera(u)tore non obbedisce a nessuna regola e corre come un bambino dietro alle sue passioni: la cultura antica, la filosofia, la politica, l’opera, l’arte, le nuove tecnologie, il tempo, l’architettura, la famiglia.

In questo vortice onirico e suicidario, Coppola rischia tutto e dichiara la sua fiducia nel futuro dell’America e del cinema, punteggiando il suo film di immagini splendide, transizioni di luci abbaglianti e movimenti d’acqua, dissolvenze e sovrapposizioni che fondono l’architettura contemporanea con gli edifici antichi.

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Megalopolis. Photo Credit: Courtesy of Lionsgate (Courtesy of Lionsgate)

Oggetto sconcertante e inclassificabile, quando non complotta per il controllo della res publica, ha il pregio di mostrare l’anima schizofrenica del suo demiurgo: il pater familias e lo scaltro uomo d’affari, l’artista visionario e l’imprenditore brillante che fonda uno studio rivoluzionario e poi lo affonda con un lancio di dadi (e di cuore). Pollice su per l’audacia del gesto e per i bagliori formali di questa epopea d’oro e d’ebano che parla tutte le lingue del cinema senza lasciare il tempo alle situazioni di assomigliare a scene compiute. Che sogniate quello che Megalopolis avrebbe potuto essere o vogliate dimenticare quello che è, Coppola ha realizzato un film che ha fatto di tutto per esistere e ci prega di fare altrettanto per amarlo.