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Meek's Cutoff
Com'era vecchia la mia valle. Com'è nuova quella di Kelly Reichardt, paesaggista backpacker dell'America profonda, che firma, parola di Variety, "il suo film più accessibile": è Meek's Cutoff (Il sentiero di Meek in Italia, dove lo porterà la Archibald), ed è un western, come non ne avevamo - quasi - mai visti prima.
1845, agli albori dell'Oregon Trail: tre famiglie, una carovana, una guida, Stephen Meek, per raggiungere le montagne di Cascade. La storia è vera, nei nomi e cognomi: serve alla cronaca, non al film. Che è vero a prescindere: non succede quasi nulla, succede di tutto, molto rimane nascosto, come nella vita.
Tre coppie - ci sono Michelle Williams e Paul Dano per l'appeal commerciale, si fa per dire... - sono chiamate ad ascoltare la voce di uno che grida nel deserto: Meek, che guida senza comandi, già perduto ma pronto a perdersi e perdere nuovamente, oppure l'indiano, il nemico di sempre, quello "che non è come noi"? Dovranno scegliere, e sceglie pure il film: lo fa Meek, senza mollare le dinamiche servo-padrone - "Comanda lui", l'indiano, si rassegnerà a dire - e lo fanno questi pellegrini per caso. Per eguale necessità e, forse, per differente, altrui virtù.
Sono questi gli sparuti eventi, che mancano al film come l'acqua ai personaggi: mancano, ovvero sottraggono, tolgono stilemi e topoi al genere eccelso del cinema americano, il western. Scrittura cinematografica e riscrittura dell'immaginario: questo è Meek's Cutoff, che conferma come saper eliminare l'inutile costituisca la forza del genio.
Subito, la Reichardt firma questa reinvenzione nella ratio quasi 1:1 dell'immagine, ma senza dimenticare il formato panoramico cinemascope che ha reso grande il genere: pur quasi quadrato, lo schermo ne conserva tutta la gamma, la prospettiva, l'ampiezza, rivoltandola nella profondità di campo. Se Christopher Blauvelt fa della fotografia, stupenda senza - quasi - estetismi, una cartografia del Brave New World, del Paradiso cercato da ogni migrazione ieri come oggi, la ratio (il rapporto tra base ed altezza) è forse tale per cercare la quadratura del cerchio: circolare il film, circolari i destini, a circolare gli epigoni che non seppero e non sanno rinnovare i padri fondatori quali Ford, Hawks, Huston, Ray, Wellman, Peckinpah e Mann. Viceversa, lo fa oggi la Reichardt, incrociando i guanti con quella tradizione maschile senza evirarla, ma delegando alla Williams i barlumi splendenti dell'intelligenza emotiva e del dialogo interculturale, seppur a rendere: "Voglio avere un credito", dirà alle compagne dopo aver ricucito la scarpa all'indiano prigioniero.
D'altronde, si centrano altri felici, felicissimi paradossi: continuando a ritenere un filo sopravvalutato No Country for Old Men, crediamo che sia Meek's Cutoff il miglior adattamento da Cormac McCarthy, seppure sulla carta non sia tratto da un suo libro. E crediamo pure che un'apparente quisquilia conservi in nuce gran parte dell'abbacinante modernità piena di rispetto storico del film: i costumi sono nuovi, perché stanno davvero là, nuovi, nel 1845. Quante volte, all'opposto, i western mostrano personaggi rivestiti di stracci consunti, abiti usurati e lisi, "nati" già vecchi come i film che li contengono?
Cuore, anzi, tessuto rivelatore, perché è questo l'approdo ripido e altissimo di Meek's Cutoff: vi troverete a cercare in quel quadrato il pellegrino che non c'è, quello che - ne sarete convinti - filmò allora, 150 anni fa, quel viaggio senza meta. Tranne una: il grande cinema, quello che sa cambiare. E che rimane.