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MaXXXine
Ti West gira il suo film-manifesto definitivo, e per chiarirlo fa pronunciare al suo alter-ego sulla scena, ovvero la regista Elizabeth Bender (la straordinaria Elizabeth Debicki), un lungo monologo su Hollywood, il sistema produttivo, il pubblico bigotto, l’intenzione di realizzare “film di serie B con idee di serie A”: la dichiarazione d’intenti viene declamata mentre la golf-car con a bordo Bender e Maxine attraversa le impalcature dei set ancora in piedi all’interno dei terreni di uno Studio, fino a fermarsi al cospetto della collina su cui si erge la casa dei Bates in Psycho – però alla finestra dell’inquietante magione non si affaccia stavolta la mamma di Norman ma Pearl, la vecchia assassina demoniaca e mostruosa di X: A Sexy Horror Story, il primo episodio di questa trilogia.
Che Ti West voglia certificare quanto la sua mitologia sia già stata accolta anche nella Storia ufficiale del cinema dell’orrore, tanto da potersi stagliare addirittura al fianco del segno hitchcockiano (il detective di Kevin Bacon come l’Arbogast di Martin Balsam)? Proprio Psycho fu dichiaratamente per Hitchcock il tentativo di avvicinarsi alle modalità dell’horror “sporco e cattivo” a basso costo pur con una produzione da Studios, ma in questo caso il riferimento di West è soprattutto legato alla pratica dei sequel (la vicenda del film è ambientata nel 1985, e l’azzardatissimo Psycho II di Richard Franklin era uscito solo due anni prima): in pura modalità wescraveniana, MaXXXine segna l’approdo di Ti West all’horror “con le star” e conseguentemente è quello che accade anche alla parabola della protagonista, che dal cinema porno passa ad una produzione “reale” per girare il sequel di uno slasher di successo, La puritana.
Il gioco postmoderno è fondamentale per il cosiddetto “elevated horror” di questa generazione, ma con una connotazione ben differente in confronto alle pratiche anni ’90 appunto di Tarantino, Craven e soci: in questo caso si tratta innanzitutto di un’operazione di riappropriazione politica, qui evidente per come il film si prende beffa in maniera apertamente grottesca di tutta una serie di “correnti di pensiero” che dagli anni ’80 del film sono riemerse con forza anche nel nostro presente, i rigurgiti conservativi e dei benpensanti, il cinema di genere come atto impuro, e così via. Per mantenere la sua natura scoperta di pamphlet, Ti West perde qualcosa inevitabilmente in ambiguità e in forza disturbante – il precedente Pearl rimane ancora la sua vetta registica oltre che uno dei grandi horror del nuovo Millennio.
Ciò che resta irresistibile è pure stavolta la divina Maxine di Mia Goth, davvero il prototipo della scream queen del ventunesimo secolo, sottilmente perfida, si salva sempre da sola e spinge ogni ragazza a salvarsi da sé, recide con violenza la propria linea familiare per vendere la testa al diavolo di Hollywood (il finale…), odia gli uomini che le fanno i complimenti riconoscendola come pornostar, e fa letteralmente saltare i testicoli a chi tenti di importunarla nei vicoli bui.