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Maternity Blues
Una volta si chiamava depressione post-parto. Oggi invece il suo nome è quello di una musica lenta e triste che evoca il pianto dell'anima: Maternity Blues. Questo il titolo che Fabrizio Cattani, classe 1967, sceglie per il suo ultimo lungometraggio presentato in Controcampo Italiano.
Una storia toccante, tratta dalla pièce teatrale From Medea di Grazia Verasani che senza commentarlo, raccoglie il dolore e il dramma di quattro madri colpevoli d'infanticidio. Un tema, quello della maternità, già presente nel Rabdomante (2006), spogliato da stereotipi e cliché, per proporre una profonda riflessione sui disturbi che posso colpire la psiche femminile in un momento così delicato della sua esistenza.
Quelle di Cattani sono madri divorate dal senso di colpa che si chiudono nella solitudine e nel dolore, incapaci di perdonare se stesse. Si aggrappano malinconiche l'una all'altra, nella penombra di una fotografia opaca e spenta. La macchina da presa si muove, le rincorre nelle loro menti, nei loro incubi.
Sottile e composto l'approccio con cui l'autore decide di affrontare queste storie di confine che non esplodono nel pathos ma lasciano parlare i silenzi. L'occhio indagatore del regista si sofferma sui volti, corrosi dalla tristezza, dell'impertubabile Clara (un'emozionante Andrea Osvart), di Eloise passionale e diretta (la convincente Monica Birladeanu), di Rina la sedicenne ragazza-madre (Chiara Martegiani) e di Vincenza (la veterana del gruppo che ormai al rimorso è abituata, interpretata da Marina Pennafina). La terapia a cui partecipano nell'ospedale del carcere dovrebbe aiutarle a capire che “il male si nasconde in ogni essere umano e che qualche volta purtroppo viene fuori".