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Il cinema è un gioco a incastri per Nicolas Bedos, fin da quando è passato per la prima volta dietro la macchina da presa. Si affida a narrazioni non convenzionali, a sciarade sospese tra presente e futuro. Il suo esordio era stato Un amore sopra le righe. Una turbolenta passione tornava in vita attraverso un dialogo, un flashback tra i decenni. Erano le prove generali per quello che sarebbe stato il suo film più bello: La belle époque. Cinema e teatro danzavano insieme, tra finzione e realtà, in un puzzle colorato, dominato dal sentimento, dalla voglia di trasgredire, di sentirsi liberi, ma allo stesso tempo di appartenere a qualcuno. Opposti che si scontrano.
L’impostazione viene mantenuta anche nell’ultima storia di Bedos: Masquerade – Ladri d’amore. Le ambientazioni sono hitchcockiane, come lo spirito. Potremmo essere in Caccia al ladro. La bella Margot, una femme fatale, fa perdere la testa al giovane Adrien, sfrecciando sulle strade della Costa Azzurra. Lui si finge scrittore, e si fa mantenere da un’attrice sul viale del tramonto. Insieme costruiscono una truffa per avere un avvenire ricco, ma presto la situazione diventa incandescente.
A Bedos manca la leggerezza di La belle époque. Punta sull’erotismo, a tratti si avvicina ad Adryan Line, ma non sa se focalizzarsi sul torbido o sulla commedia, si ferma sempre sulla soglia, in un eccesso di ammicchi che alla lunga si rivelano fastidiosi. Tanti toni diversi, forse troppi, in un racconto sovraccarico, che senza motivo raggiunge le due ore e un quarto. Dall’anima romantica si passa al thriller, agli scambi di persone, alla recitazione come unica via per la salvezza.
Bedos resta fedele ai suoi temi, diventando più morboso, meno ispirato. È un peccato. Poteva essere una ronde amorosa con intrigo, magari evitando la consunta ambientazione francese in riva al mare. A salvarsi sono solo le dinamiche generazionali che uniscono i protagonisti. Il film è a suo modo un caleidoscopio sull’evolversi di un rapporto, con uno sguardo senza speranza che punta verso la fine di ogni emozione. C’è il cuore infranto perché è stato abbandonato, il sentimento che nasce ed è all’apice del fervore, il matrimonio in crisi dopo tanti anni di routine. E ancora: la madre abbandonata che deve crescere il figlio da sola, l’uomo maturo alla ricerca della donna giovane, la moglie annoiata che insegue avventure focose, l’artista disposta a tutto pur di mantenere il toy boy. Forse se Bedos avesse ridotto il numero dei personaggi, la narrazione sarebbe stata più snella, incisiva, magari più pungente.
Cast di tutto rispetto: Marine Vacth, Pierre Niney, Emmanuelle Devos, la nostra Laura Morante. Ma come ci ha ribadito di recente Amsterdam di David O. Russel, purtroppo le stelle non bastano per far brillare un film. Il brivido presto cede il passo a situazioni monotone, gelosie reiterate, macchinazioni al limite. Pochi i momenti riusciti, che strappano qualche sorriso, ispirano tenerezza. Un esempio è quando i giovani sono al ristorante. Lei finge di avere tre bambini, e di essere stata lasciata. Si alza, urla contro di lui, mette a soqquadro la sala e corre via, inseguita dal presunto amante. È tutta una recita, la coppia poi ride a crepapelle, prima che il mondo esterno inizi a cancellare l’allegria.