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Mylène Jampanoi
è Lucie
Francia, inizio anni '70. Lucie, dieci anni, viene ritrovata per strada in stato confusionale e con il corpo terribilmente martoriato. Accolta in una clinica, fa amicizia con la coetanea Anna, ma i demoni che si porta dietro non la abbandonano. Nemmeno 15 anni più tardi, quando con una doppietta irrompe in casa di una famiglia apparentemente per bene, facendo una strage. Anna, ancora sua amica, arriverà poco dopo. Ma il martirio, quello "vero", deve ancora avere inizio...
"Dopo aver visto il film la prima volta l'ho odiato - dice Mylene Jampanoi, la Lucie adulta - ma alla terza visione ho cominciato ad amarlo": ci perdonerà, la bella Mylene, ma il Martyrs di Pascal Laugier non merita nemmeno metà dello sforzo che già abbiamo fatto.
Il sangue scorre a ettolitri, le urla si rincorrono sguaiate, automutilazioni a gogò e sgorbi velocissimi ad inseguire sensi di colpa irrisolvibili: dicono che Martyrs sia "un film particolare, vietato in Francia ai minori di 16 anni (cosa che non succedeva da un decennio), capace di riscrivere le coordinate del genere e della suspense". Sarà, ma la sensazione primaria è quella di un già visto imbarazzante - altre migliaia di volte, e meglio - e di un pericolosissimo affannarsi nel superare qualsiasi limite visibile della violenza al solo scopo di poter dare un senso al titolo stesso del film: lo spavento, l'angoscia, il terrore sono però strumenti che Laugier (che dedica il film a Dario Argento perché spera che in Italia si ritorni a fare il meraviglioso cinema di genere degli anni '70, al quale lui - non ce ne voglia - si avvicina con il supporto di un telescopio potentissimo...) non sembra saper conoscere, interessato com'è a spiattellare senza vergogna il più ridicolo dei "colpi di scena", scagliandosi stavolta sul corpo e sulla carne dell'altra ragazza, Anna (Morjana Alaloui), lei sì predestinata davvero a risolvere il mistero che una setta di vecchi bavosi persegue da tempo: "martire, dal greco μάρτυς - testimone", ci ricorda con una didascalia finale il regista. Praticamente, con uno sforzo di onestà intellettuale, riconoscendo ciò che siamo appena stati.