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Martin Eden
Spalle larghe, unghie nere. Chissà quanti i mari già solcati, il giovane marinaio Martin Eden (Luca Marinelli) salva da una rissa Arturo, rampollo di una famiglia aristocratica. Che per ringraziarlo lo porta a casa sua. Qui il ragazzo conosce la sorella di lui, Elena (Jessica Cressy).
Se ne innamora, Martin Eden, e grazie a lei scopre le infinite possibilità di riaffrontare il mondo attraverso il prezioso strumento della cultura. Da illetterato coltiva l’impossibile sogno di trasformarsi in scrittore. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi.
L’ambizione di Pietro Marcello è smisurata e altrettanto coraggiosa: il suo cinema totalmente anticonvenzionale, fluido, mai schiavo di logiche narrative ed estetiche si confronta con uno dei capisaldi della letteratura del ‘900, il romanzo omonimo di Jack London.
“Il romanzo degli autodidatti e di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione, restandone in parte deluso”, spiega lo stesso regista insieme al co-sceneggiatore Maurizio Braucci, ma anche “il ritratto di un artista di successo che smarrisce fatalmente il senso della propria arte”.
Dopo Il passaggio della linea, La bocca del lupo, Bella e perduta, Pietro Marcello continua il suo percorso di cineasta capace di rintracciare nella nostalgia di immagini e suoni nascosti nella memoria il senso di una narrazione ambientata idealmente lungo tutto l’arco del ‘900: ancora una volta si serve di innumerevoli materiali di repertorio (tra questi anche lo sfrenato ballo di due ragazzini napoletani già utilizzato recentemente da Patierno in Camorra) per imbastire una sinfonia visiva capace di dare respiro alle ossessioni, ai ricordi, alle contrapposizioni dell’inquieto antieroe protagonista, un Luca Marinelli totalizzante anche a rischio di qualche momento un poco sopra le righe.
Martin Eden – pur traslando il raggio d’azione dalla California ai vicoli di Napoli – si apre “ideologicamente” in maniera molto forte (con un filmato di repertorio dell’anarchico Errico Malatesta durante la manifestazione a Savona del 1° maggio 1920) e mantiene intatto lo spirito del testo originario, senza dimenticare la centralità di un personaggio come Russ Brissenden (Carlo Cecchi), anziano intellettuale e mentore del protagonista, e mettendo in risalto le contraddizioni cruciali che hanno accompagnato il secolo scorso, dal ruolo della cultura di massa al rapporto tra individuo e società, tra socialismo e individualismo, fino alla lotta di classe e all’ipocrisia di certi ambienti.
Non è un film perfetto, né magniloquente, forse fiaccato da una seconda parte in cui alcuni snodi drammaturgici pagano lo scotto di un didascalismo appena accentuato, ma resta vivo nello sguardo anche a distanza, impresso come l’immagine di un antico veliero che si inabissa all’improvviso. In un mare, quello della memoria, che Martin Eden affronterà ancora una volta, l’ultima. A testa alta.