La Martha di Fassbinder non c'entra proprio nulla. E nemmeno l'inaspettato film messicano Ano bisesto di Mickael Rowe, che nel maggio scorso ha meritatamente vinto la Camera d'Or come miglior opera prima dell'intera Cannes 2010. Martha, primo lungometraggio del messicano Marcelino Islas Hernandez, è un pessimo tonfo di una delle cinematografie emergenti attualmente più vitali. Caricare la sinossi, seppur breve, è l'unico piacere che in questi casi rimane al critico. Nell'estrema periferia di Città del Messico vive Martha. Monotona e triste vita da trent'anni al servizio di una compagnia assicurativa. Quando una giovane segreteria e l'arrivo di un meno giovane esemplare di computer la rimpiazzeranno, si ritroverà con 75 anni sul groppone, nessun affetto familiare (tranne una vicina altrettanto anziane e piuttosto malata) e un'insana voglia di suicidio. Il difetto principale della pellicola del ventiseienne Hernandez è la chiara mancanza di un punto di vista rispetto alla materia narrata.
Sguardo non pervenuto, risolto spesso con angolazioni di ripresa sbilenche (mancanza di mezzi? Di danari?), sostanzialmente confuso, che porta lo spettatore ad una dissociazione continua tra (presunto) stile e racconto. A sua volta risicato enunciato, ideato probabilmente in origine per un cortometraggio. Inutile pensare che le probabili intenzioni di scrittura, ciò che avrebbe dovuto indurre lo spettatore ad un approccio compassionevole rispetto alla sgangherata protagonista, possano reggere all'assenza di una riconoscibile urgenza di messa in scena. Scortese scriverlo, ma Martha è un film che annoia da morire, così avvoltolato attorno a questa trametta esile senza un singulto di originalità espressiva. Impalpabile.