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Maria di Jessica Palud - @ Les Films de Mina - Foto Guy Ferrandis
"È solo un film". Marlon Brando sussurra questo all'orecchio di Maria Schneider dopo la famigerata scena "del burro" appena girata sotto l'occhio di Bernardo Bertolucci. La ragazza, 19 anni, attrice che fino a quel momento aveva recitato solamente in piccole parti, da quel momento in poi non sarà mai più la stessa.
Jessica Palud porta in Cannes Première Maria, film che ha già fatto molto parlare di sé prima dell'approdo sulla Croisette, incentrato sulla figura della Schneider (restituita sullo schermo con forte intensità da Anamaria Vartolomei, già apprezzata nel film Leone d'Oro 2021 La scelta di Anne di Audrey Diwan) in un periodo storico ben definito, quello che anticipa la lavorazione di Ultimo tango a Parigi (1972) fino al 1981, durante la promozione di Merry-Go-Round, diretto da Jacques Rivette.
L'intento del biopic, basato sul libro Tu t'appelais Maria Schneider (2018) scritto da Vanessa Schneider, cugina dell'attrice, è dichiarato e manifesto, oltre che indubbiamente centrato per l’epoca in cui stiamo vivendo, caratterizzata dal MeToo e dai notevoli cambiamenti, di pensiero, culturali, effettivi che anche nel mondo del cinema stanno pian piano, e per fortuna, radicandosi sempre più.
Sarebbe infatti francamente impossibile immaginare, al giorno d’oggi, che “in nome dell’arte” si possano superare limiti inerenti la dignità della persona: quello che accadde durante le riprese di Ultimo tango a Parigi è noto, con la scena dello stupro prevista sì in sceneggiatura ma non esattamente nelle modalità poi concordate da Bertolucci (nel film interpretato da Giuseppe Maggio) e Marlon Brando (un Matt Dillon tutto sommato controllato, bravo ad evitare il rischio del ridicolo).
"Per Bertolucci non esiste l’attore o l’attrice, ma il personaggio: lui voleva che la sopraffazione di Jeanne fosse reale, ma le lacrime erano le mie”, dirà ad un certo punto Maria, ragazza che non ha mai fatto mistero di essersi sentita violentata realmente, tradita nella fiducia dal regista e dall’attore protagonista: “Nessuno dei due mi ha mai chiesto scusa”
Il film di Jessica Palud – che parte dal tremendo dissidio tra la 16enne Maria e la madre, dal quale prese il cognome, in seguito alla volontà della ragazza di ristabilire un rapporto con il padre che non l’aveva mai riconosciuta, l’attore Daniel Gélin – si avvicina al momento clou della storia della Schneider riproponendo molti momenti della lavorazione di Ultimo tango, dopodiché segue la progressiva caduta nel baratro (la dipendenza dall’eroina) di una ragazza che avrebbe voluto essere attrice ma che, pur continuando con difficoltà a frequentare i set, finì per odiare il cinema – i suoi metodi, le sue leggi (più o meno scritte), il retaggio patriarcale di un ambiente che disponeva dei corpi (eloquente la sequenza in cui Maria rifiuta di togliersi la camicetta per rifare una scena appena conclusa) come meglio credeva – e per distruggere se stessa.
"È stata una delle prime donne a parlare delle disfunzioni dei metodi sui set, ma nessuno l'ha ascoltata. C'era qualcosa di molto contemporaneo nei suoi discorsi e nel film le parole che dice nelle interviste sono veramente le sue”, spiega la regista, che confeziona un film più necessario che “bello”, di indiscutibile importanza e attualità.
Dedicato alla memoria di Maria Schneider, morta nel 2011 a soli 58 anni, per un tumore ai polmoni. Solamente allora Bertolucci aveva ammesso che avrebbe voluto “chiederle scusa, perché mi accusava di averle rubato la giovinezza e solo oggi mi chiedo se non c'era qualcosa di vero”.
Non era “solo un film”, evidentemente.