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Maria Esposito e Massimiliano Caiazzo in Mare fuori (credits: Sabrina Cirillo)
I teen drama hanno un grosso limite: col passare del tempo, i protagonisti diventano adulti; quindi, va da sé, a poco a poco cade il teen e resta il drama. Ma – e già lo diceva il poeta che come pochi sapeva parlare di marginali e emarginati – è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti, perché quel che non dice l’anagrafe lo rivelano i fatti, le esperienze, le cose della vita.
In un IPM (Istituto di detenzione minorile) si può restare fino ai 25 anni, qualora il reato cui è riferita la misura sia stato commesso prima del compimento della maggiore età: a suo modo è uno spazio che permette al tempo di restare sospeso, che nei casi migliori offre i supplementari a chi è rimasto indietro o ha giocato nella squadra sbagliata.
Un microcosmo, come quello di Nisida, il carcere napoletano che fa da scenario a Mare fuori (le ragioni del successo sono ben spiegate qui), la serie ideata da Cristiana Farina e scritta con Maurizio Careddu, che alla sua terza stagione raggiunge forse la quadra di un progetto ambizioso, il cui respiro così ampio non avevamo del tutto colto al principio. Perché dopo la prima stagione del 2020, un po’ faticosa e a tratti schematica e sfilacciata, ne è seguita una seconda nettamente migliore per stratificazione narrativa e tensione emotiva, quasi antologica nella sua capacità di dare voce al coro senza mai perdere di vista la linea orizzontale, anzi armonizzandovi gli episodi personali in modo davvero mirabile.
Al terzo appuntamento (dodici episodi anche stavolta, tutti diretti da Ivan Silvestrin, per un totale al momento di trentasei puntate, alcune anche oltre il canonico formato RAI sotto ai sessanta minuti), la coralità diventa davvero protagonista: personaggi nuovi, certo, che entrano laddove altri escono, tragicamente e non, ma anche la progressiva riduzione dell’estemporaneità in favore di una dimensione più organica e compatta. Con un tema che attraversa tutto, nel bene e nel male: le conseguenze dell’amore.
I due antieroi principali si separano: da una parte c’è Filippo ‘o Chiattillo (cioè “figlio di papà”), il pianista milanese finito a Nisida per aver causato involontariamente la morte di un amico, che, dopo essere riuscito a evadere per impedire il matrimonio forzato dell’amata Naditza, vive da latitante con lei; e dall’altra c’è Carmine ‘o Piecuro, erede riluttante del clan Di Salvo, che sta superando il lutto della moglie grazie all’amore per la figlia Futura. Se a Filippo e Naditza spetta una storia che rinverdisce la tradizione delle coppie fuorilegge (da La donna del bandito a La rabbia giovane), Carmine si ritrova in una sorta di cover di Romeo e Giulietta quando in carcere arriva Rosa Ricci, piccola rampolla della famiglia rivale dei Di Salvo, che entra nell’IPM con il preciso scopo di uccidere Carmine per vendicare la morte del fratello Ciro.
L’amore è fatale, come sanno bene anche gli altri personaggi di Mare fuori: Edoardo, che ha preso il posto di Ciro, deve sposarsi e non dimentica l’amante chiattilla; Pino ‘o Pazzo, che grazie all’amore per Kubra trova la forza di voltare pagina; Cardiotrap, che per salvare l’amata Gemma l’ha lasciata andar via dall’IPM; Milos, il gregario di Edoardo che non può dichiararsi omosessuale; Silvia, che vede la possibilità di una svolta quando il passato torna all’improvviso.
E così gli adulti: Paola, la direttrice (notevole la sua evoluzione in tre stagioni: che la serie sia, in fondo, il suo tardivo racconto di formazione?), cresce Futura e vorrebbe vivere la sua storia con Massimo, il carismatico comandante di polizia penitenziaria, che però non sa come comportarsi con la moglie e il figlio (a loro toccano i passaggi più “generalisti”, con dialoghi che lasciano intravedere riassunti e “messaggi”); Beppe, l’educatore più paterno, travolto dalla scoperta che Kubra è sua figlia; Liz e Lino, gli agenti che si scoprono vulnerabili di fronte a due detenuti; e Wanda Di Salvo e Salvatore Ricci, i due capifamiglia che provano ad accordarsi sulla pace (invano).
Mare fuori lavora sull’empatia dello spettatore, coinvolge perché non lascia mai fuori campo l’obiettivo di un IPM (rieducazione e ricollocamento, in sintesi salvezza), respinge il manicheismo e non sovraccarica di fascino il male. Il tema del sangue è centrale: è il referente di un codice criminale, il simbolo di un sistema perverso, il feticcio di chi riconosce nell’appartenenza l’unica legge, l’elemento che scorre quando non si può tornare indietro.
In questo senso il rapporto tra Carmine e Rosa è tematico: lui scopre un’occasione di salvezza (personale e non solo) nell’esigenza di farle capire quanto sia atroce e barbaro il modello portato avanti dai genitori, dove la morte chiama la morte, la vendetta è l’unica arma per regolare i conti, con la spirale di violenza che non lascia scampo.
La terza stagione di Mare fuori è forse la più pessimista, quella in cui si chiudono dei cicli (due o tre morti sono davvero pesanti) e se ne aprono altri spesso minacciosi. E se i cliffhanger si confermano sempre efficaci se non traumatici lo si deve alla sapienza di una scrittura che sa mettere insieme il realismo sociale di Un posto al sole (Farina viene da lì), la ricezione mitopoietica di Gomorra, la drammatizzazione della sceneggiata, le tracce sotterranee di Liberato (Cardiotrap ne è un’evocazione), la suggestione di un musical interiore con la title track usata in funzione diegetica e le canzoni trap che descrivono il paesaggio emotivo di chi sa che là fuori ci sta il mare (le musiche sono di Stefano Lentini).
Poi, chiaro, il casting è esemplare: tra gli esperti Carolina Crescentini, Carmine Recano, la new entry Lucrezia Guidone, Antonio De Matteo e i giovani e già popolarissimi Nicolas Maupas, Valentina Romani, Matteo Paolillo e Artem, spiccano gli esplosivi Massimiliano Caiazzo e Maria Esposito e poi Vincenzo Ferrera, Agostino Chiummariello, Anna Ammirati, Pia Lanciotti, Raiz.